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C’era una volta un Re… tante filastrocche, tante favole cominciano così.
Immaginiamo un padre o una madre che ne raccontano una al pargoletto, per conciliare il sonno.
C’era una volta un Re che improvvisamente conquistò un regno molto lontano. Grazie alla sua abilità, alle sue risorse ed all’aiuto di Cortigiani validi trasformò un ambiente depresso, sfiduciato e rassegnato in un regno vivace e splendente. Furono anni di grande entusiasmo e magnificenze e grazie alle sue opere straordinarie il Re ottenne tanta fama e notorietà che se avesse voluto sarebbe potuto diventare Imperatore.
Il regno conobbe il periodo più brillante della sua storia e gli anni passavano sereni e gioiosi: sembrava che questo incantesimo potesse durare a lungo. Un giorno, in un altro stato tanto lontano, venne organizzata una gara e tale era l’entusiasmo che dal regno partirono in 40.000 per incoraggiare i loro alfieri. Fu il momento più alto di tutta la reggenza. Ma fu anche l’inizio della fine. Improvvisamente il Re cambio atteggiamento. A poco a poco il suo amore verso i suoi sudditi cominciò a scemare, inizio a circondarsi di Cortigiani inaffidabili ed anche in malafede. Iniziarono anni grigi che lentamente diventarono neri. Si ruppe l’incantesimo. Ma il suo errore più grande fu la parola: in tutte le adunanze invece di confessare di non avere più le forze e le capacità, invece di chiedere umilmente l’appoggio dei suoi sudditi (che lo amavano e lo avrebbero appoggiato comunque), iniziò ad avere atteggiamenti indisponenti e di sfida. Il regno iniziò a vacillare seriamente e pian piano i suoi fedelissimi sudditi iniziarono a stancarsi e ad abbandonarlo. Sempre circondato da Cortigiani incapaci il Re non si rendeva conto e non ammetteva la sua perdita di popolarità ed andava avanti nel suo impossibile percorso. Tutto il regno gli voltò le spalle e a gran voce gli chiedevano di abdicare, di rinunciare al trono. I sudditi volevano un nuovo Re, un nuovo monarca che potesse restituir loro la speranza, la gioia e l’orgoglio del proprio regno.
Ora il Re è nudo, è solo. Forse vuole cedere il trono ed all’orizzonte compaiono nuovi monarchi. Il popolo è stordito, ricorda i fasti di un tempo ed ha paura. Fra le strade del regno i sudditi si chiedono se il nuovo Re avrà le stesse capacità e lo stesso impegno del Vecchio che, seppur fra mille peripezie, era riuscito a far sopravvivere il regno. La gente pensa alla fine che hanno fatto i regni di Bari, di Avellino e di Cesena e siccome è una fiaba tutta siciliana si chiede:“Megghiu u’ tintu canusciutu ru bonu a’ canusciri” ?
Il pargoletto, decisamente sveglio, a quel punto si mette a sedere e risponde: “però Cchiù scuru i menzzanotte un po’ fari”
E la notte passò insonne a scegliere il proverbio giusto.
Con affetto, Carlo Cangemi
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