Estate 2004, europei appena conclusi in Portogallo e l’Italia, protagonista in quella competizione per lo sputo di Totti a Poulsen, si ritrova a Palermo per giocare la sua prima partita dell’era Lippi per le qualificazioni del Mondiale 2006 contro la Norvegia.
Il capitano giallorosso (28 anni ai tempi) è ancora squalificato per una partita, ma è recuperabile per quella dopo contro la Moldovia e quindi viene convocato ugualmente. In un’amichevole con la Roma però, Totti si infortuna e la FIGC lo convoca ugualmente per delle visite mediche da svolgere nel capoluogo siciliano, Lippi insiste per averlo il giorno dopo al Mondello Palace, l’albergo che ospita la nazionale e Francesco, dubbioso, si reca in Sicilia.
E così, nel suo libro “Un Capitano”, Francesco Totti racconta come sono andate le cose e come quel viaggio a Palermo abbia messo le radici sul Mondiale vinto in Germania:
“Immaginate lo sconcerto quando arriva in sede un fax della federazione nel quale si richiede comunque la mia presenza a Palermo per un controllo medico. Non c’è ancora l’esplicita ostilità di una visita fiscale ma il messaggio è chiaro: non si fidano. Mi imbarco per la Siciia il mattino dopo con la sensazione che le prossime ore saranno decisive per il mio futuro in Nazionale. Lippi ha bisogno di parlarmi, l’ha detto a Vito (Scala, ndr) che conoscendo il carattere di entrambi teme si possa arrivare a un confronto acceso
Quando sbarco al Mondello Palace, l’albergo che ospita la comitiva la squadra è fuori per l’allenamento defatigante. L’atmosfera sembra allegra. Magari con un po’ di fatica perché il 2-1 di Toni è arrivato soltanto a 10 minuti dalla fine, ma abbiamo battuto a Norvegia. Arriva il pullman e il primo compagno che abbraccio è De Rossi: la sera precedente ha debuttato e ha segnato pure il primo gol. Poi mi vede Lippi, mi viene incontro sorridendo, mi chiede come sto e mi dice che dopo mangiato, mentre gli altri riposano, vorrebbe incontrarmi da solo. Non sembra mal disposto e nessun medico mi fissa un appuntamento per la visita. Non capisco.
Mangio in fretta un piatto di pasta, a questo punto non vedo l’ora di parlare col ct. “Caro Francesco, dobbiamo cominciare a conoscerci meglio”, è il preambolo di Lippi, “perché nei prossimi due mesi passeremo parecchio tempo insieme e io ti chiederò molto. Avrai letto sui giornali qualche mia intervista, i passi in cui dico che ho accettato di guidare la Nazionale perché sono convinto di avere gli uomini per compiere l’impresa e tu sei uno di quelli fondamentali. Da allenatore avversario ho passato molte notti a studiare come limitarti perché fermarti del tutto era impossibile: ora sono ansioso di godermi l’altra faccia della medaglia, organizzare un gioco che possa esaltare il tuo apporto. Ma perché questo succeda dobbiamo conoscerci ed entrare in sintonia. Per cui smettiamola di parlare di calcio, quella è l’ultima cosa e cominciamo a raccontarci che tipo di persone siamo”.
Io sono a bocca aperta. Mai visto un approccio del genere. Bellissimo. Inizio a spiegargli com’è la mia famiglia, gli dico che con Ilary le cose sono diventate subito serie, lui mi racconta le ultime di suo figlio Davide – siamo amici, abbiamo fatto assieme il servizio militare – e ci facciamo qualche risata ricordando le scemate di quei tempi. Stiamo lì a parlare di tutto: musica, politica, donne, Federer e Kobe Bryant, la ricerca dello stile e quella della vittoria. Alla fine ho la sensazione di essergli piaciuto e lui certamente è piaciuto a me”.
“Adesso torna a Roma e curati bene, Francesco, perché a ottobre comincerò ad avere bisogno di te sul serio”, mi dice, congedandomi senza visite mediche. Immagino la delusione di chi aveva previsto forti tensioni tra me e Lippi. Stabilito il rapporto umano, quello tecnico viene di conseguenza. Lippi non esagera e mi vuole davvero al centro della sua Nazionale e per farlo mi sfrutta giustamente al massimo nelle gare di qualificazione per lasciarmi invece a riposo nella amichevoli. A giugno 2005 per esempio mi risparmia la tournée americana di un’Italia molto sperimentale consentendomi di sposarmi. E’ la gestione perfetta per quelle che sono diventate le mie esigenze di quasi trentenne, ancora determinato a inseguire il grande risultato in maglia azzurra ma cui pesano ormai i ritiri troppo lunghi. Ed è in questa considerazione privilegiata che inizio l’anno del mio ultimo Mondiale”. Un mondiale che ha ebbe inizio a Palermo, il 4 settembre 2004 con la prima partita di qualificazione vinta grazie al gol del rosanero Luca Toni e concluso il 9 luglio 2006 a Berlino con un gol di un altro rosanero, Fabio Grosso. Il cielo è stato anche un pò rosanero, sopra Berlino, quella notte.
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