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Il Palermo e l’azionariato popolare: sfatiamo il mito Barcellona

L’azionariato popolare è il nuovo principale argomento che gira intorno al Palermo. Dopo l’appello di Mirri i tifosi rosanero sognano una società gestita dai supporter. Ma è realmente fattibile un’operazione del genere? In tantissimi hanno tirato fuori l’esempio del Barcellona. I catalani sono la squadra che più di tutte ha segnato un’epoca in questo sport negli ultimi 15 anni: tra tiki-taka, Guardiolismo, Xavi, Iniesta, Messi e Cantera i blaugrana sono stati un modello di riferimento a livello mondiale.

Proprio gli spagnoli sono il maggiore esempio di azionariato popolare. Ma qui bisogna sfatare un mito enorme: sapete quanto incide ad oggi, l’apporto economico dei tifosi sul fatturato della società? Poco più del 2,5%. Praticamente nulla. L’apice fu toccato nel 2002/2003 quando l’impatto sul fatturato fu del 10%. Oggi i blaugrana fatturano circa 700 milioni di euro, incassando dunque dai soci circa 18 milioni.

I blaugrana per finanziarsi quindi, hanno ben altri meccanismi. Su tutti le banche che concedono prestiti e permettono al club di investire, indebitandosi, per aggiungere utili un domani. In secondo luogo gli sponsor: è chiaro che una squadra come il Barcellona può contare su sponsor giganti che riempiono d’oro le casse del club per essere pubblicizzati. Infine ma non meno importante, il merchandising: tra magliette vendute, visite allo stadio e chiaramente i biglietti venduti per le partite i catalani si sono imposti come una delle società più ricche del pianeta. Senza dimenticare le decine e decine di milioni incassate dalle vittorie dei trofei.

In definitiva, l’azionariato dei tifosi è una piccolissima goccia d’acqua in un vaso enorme da colmare. Per intenderci, Messi guadagna circa 40 milioni netti che in Spagna sono circa 70 lordi. Non ci si copre neanche lo stipendio della “Pulce”. Questi numeri rendono abbondantemente l’idea: l’azionariato popolare non può bastare per gestire nel calcio moderno una società che ambisce a restare nei vertici del proprio campionato.

Ma allora dove sta la bellezza? Nella democrazia. L’esempio del Barcellona è quello di uno dei club più democratici al mondo. Una società dove l’azionariato popolare è più un modo di gestirsi burocraticamente che finanziariamente. Tant’è vero che sono i supporter soci a scegliere tramite delle elezioni il presidentre. I soci possono anche richiedere di visionare i documenti che attestano le compravendite dei calciatori. Insomma, si è parte attiva della costruzione dei vertici della squadra. Il presidente poi nominerà un direttore sportivo e un allenatore che cureranno la parte sportiva. Come più volte precisato dallo stesso Barcellona, anche un solo socio può chiedere di sfiduciare l’attuale amministrazione. Una vera e propria democrazia riportata allo sport.

Ma a Palermo sarebbe riproponibile un modello simile? Certo, ma non nelle misure che immaginano i tifosi. Precisiamo: tutto è possibile, se c’è la volontà di farlo. Ma ci si dovrebbe “accontentare” di un club di piccole dimensioni, che galleggia tra la Serie A e la B, probabilmente con una buona solidità economica ma senza troppe ambizioni. Ammettiamo per puro caso che ci sano anche 100 mila tifosi appassionati che vogliono diventare sostenitori attivi, dunque versare una cifra per arricchire le casse del club. Ognuno di questi supporter mette una cifra di 100 euro (più o meno gli stessi numeri che ha il Barca: poco più di 100 mila soci con poco oltre 100 euro di quota annuale), arriveremmo a una somma di 10 milioni. Una miseria per una società professionistica.

E qualcuno pensa davvero che ci possano essere più di 100 mila tifosi disposti a sborsare una cifra per associarsi? Sembrerebbe un’utopia ma sognare, almeno questo, è gratis. L’azionariato popolare va imitato come modello positivo per la gestione delle cariche in un club, E’ molto affascinante e per altro intelligente, l’idea che possano essere i soci a decidere chi deve guidare in prima persona la propria società e non che quest’ultimo venga imposto solo dal socio di maggioranza. Ma economicamente, ribadiamo, non può bastare.

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