‘’I timidi decidono di fare i difensori, si nascondono dietro agli attaccanti, tentano di passare inosservati’’.
‘’Come la maggior parte degli italiani mi vanto di definirmi un intenditore di pallone’’. Paolo Sorrentino non è soltanto il regista che con ‘’La Grande Bellezza’’ ha riportato l’oscar in Italia 15 anni dopo la ‘’Vita è bella’’ di Roberto Benigni. Prima del cinema, la strada, il pallone. Pomeriggi passati nel suo comprensorio, adornato di giardini , rincorrendo una palla e partecipando ad estenuanti conversazioni con gli amici. E poi Maradona, che nel 1984 arriva a Napoli e costituirà, nella vita del regista una vera e propria ossessione. Il grande numero 10 degli anni 80, per Sorrentino fonte di enorme amore, di ispirazione, ma anche figura di una delle pagine più drammatiche della sua vita.
Paolo Sorrentino, accanito tifoso del Napoli sin da piccolo, perde entrambi genitori a 16 anni, quando decide di non trascorrere il weekend a Roccaraso con la famiglia per seguire il suo amore, la sua ossessione.
Prima della trasferta di Empoli, vicino a realizzare il suo grande e genuino sogno adolescenziale: vedere Maradona giocare e andare in trasferta con i tifosi napoletani, Paolo Sorrentino riceve la notizia. In un certo senso Diego Armando Maradona ha salvato la vita a Sorrentino. Il padre era a Roccaraso per la sua grande passione: lo sci. La passione salva, ma può anche uccidere. Lo scoppio di una caldaia lo rende orfano di entrambi i genitori.
Ironia della sorte: Paolo Sorrentino non ha mai conosciuto Maradona, ha avuto l’onore di potergli parlare qualche secondo, fugacemente, prima di un decollo da Los Angeles dopo l’Oscar, ostruito dall’Hostess che diceva di spegnere. ‘’È vero. Anche lui un cattivo. Ma il vizio faceva parte del suo carisma. Cosa ho tifato nella semifinale del 1990 Italia-Argentina? Come tutto il San Paolo: Argentina. Non puoi tifare contro l’uomo che ti ha salvato la vita’’
Un dolore immane, dal quale non ci si può liberare più. Un dolore che trasforma, ma non obbligatoriamente in peggio, può essere ‘’portatore di trasformazioni intelligenti’’.
Un dolore che permeerà la poesia e lo stile del regista campano, una poesia, uno sguardo alla vita come grottesca e ironica. Nei suoi film c’è tutto: la libertà, la vita, la morte, l’assurdo, il dolore e la malinconia. Con la sua tecnica ineccepibile, abile fantasista, Paolo Sorrentino è l’attuale numero 10 del cinema italiano capace di creare follie grazie al dono di avere un mondo tutto suo.
Ancora una volta il calcio si erige come un fenomeno al di sopra di un semplice gioco, forse come una distrazione, una distrazione in grado di coinvolgere le emozioni umane.
‘’La distrazione. La massima invenzione dell’essere umano per continuare a tirare avanti. Per fingere di essere quello che non siamo. Adatti al mondo’’.
‘’Hanno tutti ragione’’, la Feltrinelli, Napoli 2010
Da ragazzo immerso in un universo chiuso, in quella che lui ha definito la sua ‘’palestra di vita’’ fatta di musica, libri e calcio, tanto calcio. Un universo attorniato da fabbriche di sogni. Se si chiede a Sorrentino cosa l’ha folgorato nella sua vita, la risposta sarà esaudibile e semplice: ‘’Mia moglie, l’impressionismo tedesco, New York quando vi andai da ragazzo e il calcio’’.
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