C’era una volta in Sicilia la Serie A con Palermo, Messina e Catania regine del calcio siciliano, portando in alto il nome del bel calcio e dei giovani talenti in grado di trovare la propria dimensione proprio laddove il resto d’Italia non avrebbe scommesso un soldo.
C’era una volta la Sicilia in Serie A, con dei campioni provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo pronti a dimostrare ciò che erano in grado di fare sul territorio siciliano. Così nacquero a Messina le carriere di Salvatore Aronica, Massimo Donati, Sergio Floccari; nello stesso modo a Palermo incantavano Franco Brienza, Luca Toni, Eugenio Corini; e a Catania Mariano Izco, Juan Vargas e Gionatha Spinesi facevano brillare gli occhi di ogni tifoso.
C’era aria di festa per le strade della Sicilia ogni domenica, e ogni domenica c’era la curiosità di scoprire quale tra le siciliane avrebbe vinto il derby a distanza per scoprire chi sarebbe stata tra le tre la vera regina della Sicilia e chi, invece, si sarebbe dovuta accontentare del titolo di principessa.
C’era ogni qualvolta che si giocava un derby la voglia di esprimere un grande calcio, la voglia di prevalere sull’avversario senza mai dissacrarlo, c’era il desiderio di conquistare la vittoria per regalare ai tifosi un sorriso da portare a casa fino al prossimo derby. E quando si vinceva era festa, ma anche quando si perdeva non si riusciva ad essere poi così tristi: ci sarebbe stato presto un altro confronto, e la possibilità di poter riscattare quella sconfitta rendeva il derby futuro ancora più dolce.
C’era in ognuna di quelle squadre, in ognuna di quelle tifoserie la voglia di non sparire mai dal calcio che conta, perché ognuna di esse sapeva benissimo quanta fatica era stata spesa per arrivarci. Così ci si illudeva e si tendeva a chiudere un occhio su eventuali piccole mancanze, su eventuali spaccature che già fin da allora un occhio maggiormente critico e meno incantato dalla favola delle tre regine avrebbe potuto vedere.
C’era una volta tutto questo, ma c’era anche molto altro che ormai non ha più senso rivangare. La triste fine delle siciliane, col Catania messo alle strette dai guai extracampo, il Messina “sdoppiato” in due realtà, con una competizione stracittadina che non giova né all’una né all’altra compagine, e il Palermo che ha raccolto con gli interessi quelle piccole falle che un tempo si volevano nascondere e che poco tempo fa si sono viste tutte nella loro crudezza.
C’era una volta in Sicilia la Serie A, chissà se ci sarà ancora un giorno. Ogni tifoso sogna di vedere la propria squadra vincere e trionfare, e ogni tifoso vorrebbe che il mondo fosse come quello delle favole, dove se un fatto è accaduto “una volta”, in un luogo non poi così “lontano”, allora questo può riaccadere il prima possibile. Per far sì, però, che il calcio in Sicilia torni a brillare al di là di ogni appariscente favola, è necessario un periodo di transizione, una sorta di “medio-evo” nel senso più letterale del termine, ovvero un’età di mezzo in cui crescere, imparare e sviluppare nuovi modi di intendere il calcio e tutto ciò che ruota attorno al calcio.
C’era una volta questo regno, la Sicilia, con tre Regine al comando. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, e tutte e tre le Regine non sono state in grado di assolvere nel tempo alle loro responsabilità, abbandonando una dopo l’altra il trono di Regina della Sicilia. Ad oggi la nostra terra non conosce alcun vincitore, ma solo vinti: le regine diventarono così delle semplici plebee.
C’era una volta, e ci sarà ancora una volta, perché la nostra terra è fatta di uomini e donne che non hanno mai mollato sotto ogni aspetto della propria vita, e così sarà anche sotto l’aspetto calcistico. Prima di non mollare, però, bisogna rinascere; se si rinasce, è necessario porre nuovi obiettivi, nuovi paletti, e nuove strade da percorrere. Soltanto inseguendo come dei bambini, con la consapevolezza di un adulto responsabile, il sogno della Serie A, le tre plebee potranno tornare ad essere Regine incontrastate della Sicilia.
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