Bisogna chiamarsi Alberto per diventare il portiere del Palermo?
Pare proprio di sì, visto che ben quattro degli ultimi portieri rosanero si chiamano Alberto: Fontana, Pomini, Brignoli e, buon ultimo, Pelagotti (Empoli, classe 1989): ho appena ascoltato la sua conferenza stampa perché c’era da chiarire le dichiarazioni rilasciate, subito dopo l’amara sconfitta di Licata.
E l’impressione che, alla fine, ne ho tratta è confortante.
Io non sono abituato a “frequentare” i giocatori del Palermo; non lo facevo quando era normale intervistarli – parlo di tanti anni fa, quando, anche dopo l’allenamento, chiunque poteva avvicinarli – e non lo faccio neanche ora. D’altronde, sono fermamente convinto che basta vederli giocare, i giocatori della squadra del cuore, per capire, più o meno, di che pasta siano fatti.
E, sin dalla sua prima partita in maglia rosanero, Pelagotti mi è sembrato un buon portiere (ottimo per la categoria) e una persona ammodo.
Dice: ma come fai a capirlo solo vedendolo parare?
Capirlo, magari, no ma intuirlo, certamente sì: tifo Palermo da una vita (lunga, la mia, quindi, fidatevi!) , amo così visceralmente la maglia rosanero e chi l’indossa, che io non li guardo soltanto i miei giocatori quando giocano: io me li magio con gli occhi, e gli occhi di un tifoso sono raggi laser che attraversano la materia e vanno di filato, dritti al cuore.
Pelagotti ha spiegato con la serenità di chi non ha nulla da nascondere il significato della frase incriminata: “Siamo soli”.
“Non mi riferivo di certo ai tifosi, cui voglio un bene dell’anima, dal primo all’ultimo. Siamo soli per dire che contro di noi fanno tutti la partita della vita e vorrei che facessero altrettanto ogni domenica, contro qualsiasi avversario”.
Chiarito il “mistero” di quel “siamo soli”, Pelagotti si è sottoposto alla lunga sequenza di domande dei cronisti, talune davvero pepate, ma ha sempre risposto senza perifrasi e/o frasi fatte, dimostrando maturità e saggezza, requisiti indispensabili per fare da chioccia ai tanti under 20 che ha in squadra. Ha analizzato con lucidità la brutta prestazione di Licata, ha riconosciuto i meriti dei ragazzi di Campanella e ha concluso con una dichiarazione d’intenti che più rassicurante non poteva essere: “Siamo in testa alla classifica dal l’1settembre, prima giornata di campionato. Qualche battuta di arresto ci sta, è fisiologica: a Licata è arrivata, però chiudiamola qui, non facciamone un dramma… Pensiamo al Nola e alle sette partite da vincere per mettere il sigillo al primato e, quindi, alla promozione in serie C !”.
Sette partite, sette battaglie, sempre una guerra, come l’ha chiamata Pelagotti: ecco cosa ci aspetta da oggi al 3 maggio, quando i giochi saranno fatti e noi tifosi, dopo un’interminabile stagione vissuta all’inferno della serie D, potremo festeggiare, manco fosse la vittoria della Champions, il ritorno tra i professionisti.
Pelagotti tra i pali e, immagino, negli spogliatoi è un punto fermo, un riferimento sicuro per tutta la squadra: seguiamo il suo esempio e ne usciremo a testa alta.
Quando, a dicembre, rilasciò una bellissima intervista a Mediagol, ebbe a dire, fra l’altro: “Io e la mia famiglia ci siamo subito innamorati di Palermo e dei palermitani perché qui è forte e sentito il valore della famiglia e dell’amicizia”.
Di uno così io mi fido ciecamente, sia quando sta tra i pali a difendere la rete della mia squadra del cuore, sia quando con fervore afferma: “A Palermo mi sono subito trovato perfettamente a mio agio, come se ci fossi nato e cresciuto!”.
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