Stiamo vivendo in queste ore una situazione che non si viveva da decenni a livello nazionale. È richiesta a tutta la società uno sforzo non indifferente per limitare il contagio da Coronavirus, e tale impegno coinvolge la società sotto tutti i suoi aspetti.
Accade così che migliaia di italiani trovano difficoltà sul posto di lavoro, migliaia di impresari sono costretti a chiudere oppure a licenziare dipendenti, migliaia di genitori devono fare i salti mortali per conciliare l’impegno coi figli all’impegno lavorativo.
In questo marasma che ormai sta divenendo quotidiano si inizia ad intravedere sempre più lontana la possibilità di accedere a forme di svago o distrazione che possano permettere ad ognuno di noi di prendere una boccata d’aria da tutte le notizia più o meno negative che ci arrivano ora dopo ora sul Coronavirus, e tutto ciò che questo va coinvolgendo.
Una fonte primaria di svago per gli italiani è da sempre il calcio. Seppur noto lo scambio di battute tra Palmiro Togliatti e un dirigente del proprio partito, è utile da riprendere in questi casi per sottolineare l’importanza del calcio in Italia, non solo nello sport.
“Cos’ha fatto ieri la Juve?”, chiese Togliatti.
“Non lo so, non ho seguito la partita”, rispose Secchia.
“E tu pretendi di fare la rivoluzione senza sapere i risultati della Juve?” ribatté con forza il segretario.
Una conversazione breve, ma che è indicativa della forza travolgente che rappresenta il calcio in Italia. Questo sport rappresenta la valvola di sfogo per milioni di italiani, e anche chi non è appassionato ormai sente parlare quotidianamente di VAR, di Juventus, del calciomercato, della Champions League, e non solo.
Il calcio in Italia è ormai da inserire nello stereotipo dell’italiano medio insieme alla pizza e al mandolino. Anzi, no. Il calcio in Italia è come l’acqua: nessuno può farne a meno. C’è chi ne beve di più, c’è chi ne beve di meno; ma tutti quotidianamente ne assumiamo almeno un minimo per il nostro sostentamento.
Con tutto ciò che sta accadendo in questi ultimi giorni sul suolo nazionale, anche il calcio ormai sta diventando un qualcosa a cui dover rinunciare per tentare di limitare a tutti i costi il contagio. I calciatori incrociano le braccia, il Coni impone lo stop delle attività sportive per un mese, la FIGC valuta persino lo stop totale del campionato per questa stagione calcistica.
E i tifosi brancolano nel buio. Il proprio sostentamento quotidiano inizia a diventare una chimera, un qualcosa di sempre più lontano. La passione per questo sport inizia a far sentire la mancanza dei cori da stadio, la mancanza del brivido del gol, la mancanza della telecronaca durante una partita.
Così in questo periodo il calcio, che per gli italiani è come l’acqua, è diventato esattamente come acqua nel deserto. Un qualcosa da desiderare ardentemente ma difficile da ottenere in questa situazione, un qualcosa che continua ad esistere nelle altri parti del mondo e che non intendono fermare, ma che in Italia per adesso è solo un lontano, lontanissimo, miraggio impossibile da raggiungere.
La partita di Champions League di stasera tra Valencia-Atalanta è una delle pochissime occasioni che gli italiani hanno per nutrire un minimo la propria passione. Siamo così saturi dalle partite, mediamente c’è una competizione ufficiale al giorno, che avevamo quasi dimenticato l’importanza di questo sport per tutti noi.
Uno sport che non smetterà mai di far parlare di sé, uno sport molto criticato sia da dentro che da fuori; uno sport con tanti difetti, tante cose che non vanno, tante disparità. Uno sport così imperfetto, eppure così semplicemente bello, essenziale, necessario.
Il calcio è lo sport degli italiani, ormai diventato acqua nel deserto.
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