Come spiegheremmo ad un bambino la natura del Coronavirus? “Beh vedi piccolo, una palla, una brutta palla che attacca le persone che stanno insieme e le fa stare male, una palla invisibile che passa da una persona all’altra molto velocemente, ma noi non ci dobbiamo preoccupare piccolo mio, noi siamo a casa adesso, al sicuro”. Con un bambino è facile: bastano un disegno e un po’ di colori su un foglio di carta, per farlo sentire al sicuro e coccolato.
Non serve spiegare ad un ragazzo che cosa sia il Coronavirus, le sue ragioni profonde o le sue conseguenze, ne d’altra parte, serve spiegare perchè non si può uscire questo Sabato sera, il primo di una quarantena serrata a cui sono chiamati tutti quanti gli italiani. Questo non serve. Ma come può assaporare un ragazzo il giorno più amato dai giovani, in queste condizioni? Un adolescente che trasforma il suo essere in un bambino capriccioso, che vorrebbe uscire, che vorrebbe colorare il suo Sabato come ha sempre fatto nel fiore dei suoi anni. Non può bastare un disegno e qualche colore che tinge appena una foglio di carta, serve un’altra tinta, un sapore particolare capace di creare un nuovo arcobaleno in un apparente, cupo, penultimo giorno di settimana.
“Non tutti i mali vengono per nuocere”. Come si fa a dare un senso a questo detto in un momento così difficile? Eppure del positivo c’è sempre, ovunque, anche in un epidemia. “State a casa!”, ci è stato ordinato, ed è quello che noi faremo e che i giovani faranno (si spera). Ma è Sabato sera. Non avremmo mai voluto passarlo senza amici, mai senza abbracci, baci, saluti, sorrisi all’aria aperta, ma questa è la dura partita da affrontare e allora giù con le soluzioni per farla durare almeno 90 minuti e vincerla.
La mamma, quella madre felice di avervi a casa con voi come mai successo in quel giorno, quella che farebbe di tutto pur di colorare il vostro grigio Sabato, che per lei non ha mai brillato di più. Chiedete qualcosa, chiedete tutto quello che potete: le arancine fatte in casa, una spaghettata, una torta, una schiacciata….una pizza. Si!, meglio una pizza, perchè il Sabato sera è una regola in Italia. Allora su con l’impasto,semplice, genuino, soltanto con poche olive sopra, poca tuma e una buona salsa. Tradizionale, semplice, come il nostro tempo trascorso a casa in questi giorni. Allora la partita può durare di più, un tempo almeno, il tempo giusto che ci vuole per mangiare 6-7 pezzi (se è fatta in casa è d’obbligo).
Il Papà, quel padre anche lui mai stato più felice di oggi, nell’avere il suo alter ego accanto a lui a cena, di Sabato, quando anche lui preferiva fare bravate con gli amici. Obbligo della serata chiedere qualcosa anche a lui; ma cosa? chiedere cosa ad un padre? Ma si! certo! Il buon vino di casa, di quelli che rendono allegri non poco. Quel succo di Bacco inaugurato a San Martino e poi bevuto in solitudine fino ad oggi, fino allo splendido Sabato ai tempi del Coronavirus, quando può essere gustato invece in compagnia del figlio, perchè il vino non vale nulla se bevuto da solo, proprio come il calcio senza il suo pubblico. Allora la partita passa, eccome se passa, sta per finire anzi, tra una buona pizza e uno splendido vino pastoso. Ci siamo, è finita, l’arbitro ha fischiato la fine del match.
Rimane soltanto un’aspetto: il risultato. L’ultima fetta della buona pizza della mamma sta per essere presa, ma il ragazzo arriva prima, sa che non ci saranno altri giorni così e allora la prende e la mangia, a fatica, quasi per dovere. All’orizzonte anche l’ultimo bicchiere di vino di una caraffa presa soltanto per l’occasione, un padre che è allegro e che lascia l’ultima goccia di nettare al figlio che beve, e che mangia, e che gode di tutta la magia che c’è intorno. 90° minuto, vittoria. Il post gara è un inferno: il coronavirus bussa alla porta, il telegiornale dice 18.000 contagiati e 2000 morti e tu che per un attimo forse hai dimenticato di quanta bella sia stata la tua partita, la tua notte, la tua pizza, il tuo vino, la tua famiglia. La partita del Sabato è stata vinta con le giuste contromisure, con la semplicità, ma c’è da vincere un campionato e forse, bisogna ripartire proprio da qui: da quei valori che piacevano ad un bambino e che abbiamo sempre disprezzato da ragazzi, da quei valori, che oggi tornano armi utili per uccidere un’epidemia.
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