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Niente prestazioni, niente stipendio. Come si comportano le società di calcio?

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Di fronte ad una tale emergenza che sta mettendo a repentaglio la salute del pianeta, i problemi economici passano in secondo piano, sia quelli legati al benessere delle nazioni sia (ancor di più) quelli legati al mondo dello sport e nella fattispecie del calcio.

Ma la domanda che ci poniamo e che vi proponiamo di seguito è: se i giocatori non garantiscono le prestazioni (per ovvie ragioni) come si comportano le società di calcio nei loro confronti? Ci siamo sbizzarriti nel cercare una risposta e l’abbiamo trovata nelle parole che l’avvocato “giuslavorista” Marcello De Luca Tamajo (in passato ha lavorato presso la FIGC e il CONI) ha rilasciato al Corriere Dello Sport qualche istante fa.

Tutto si accomoderebbe al principio di “sinallagmaticità del rapporto” che vale anche per il mondo del calcio. In sostanza, le due parti (nel nostro caso calciatore e società) assumerebbero l’obbligo di eseguire una prestazione l’una in favore dell’altra. Ma arriviamo al dunque: i presidenti possono non retribuire il calciatore? Ecco cosa ci spiega il noto avvocato sopra citato:

“Ci troviamo di fronte a un’ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione. Ci aiuta un articolo del codice, il 1256: se l’impossibilità è temporanea, il debitore della prestazione (il calciatore) non è responsabile dell’inadempimento. Però, a sua volta, la società non è tenuta a retribuire. Il calciatore non offre la prestazione, la società non offre la controprestazione, ossia il pagamento”.

Quindi Marcello De Luca non esclude assolutamente che possa avvenire una non retribuzione del calciatore, affermando di trovarci, tutti quanti, in una situazione abbastanza paradossale, anche da questo punto di vista:Non escludo che possa avvenire la non retribuzione. Certamente si tratta di una situazione del tutto inedita e mai verificata, di una materia oggetto di ulteriore studio anche in base ai provvedimenti di queste ore del governo e delle autorità sportive. In fondo non è mai capitato a nessuno di chiudersi in casa per colpa di un virus. È tutto molto fluido, difficile e nuovo. Perché no, potrebbe pure succedere che un calciatore non prenda lo stipendio in relazione al solo periodo per il quale non effettua alcuna prestazione”.

Poi l’esperto di diritto sportivo spiega che “Se l’emergenza Coronavirus dovesse continuare per un anno, allora è impossibile ipotizzare che avvenga il pagamento al calciatore per questo lasso di tempo. Semmai, è più logica una diminuzione della retribuzione”. In sostanza gentili lettori, pare di capire che il coltello dalla parte del manico ce l’abbiano le società di appartenenza del calciatore, poichè se è pur vero che l’atleta non abbia alcuna responsabilità nelle sue ferie “forzate”, è altrettanto vero che l’azienda (società sportiva) decide sulla retribuzione da versare (o da non versare) nelle casse del calciatore e altresì, le stesse autorità del club, possono addirittura convocare i calciatori per proseguire gli allenamenti, come spiega sempre il noto avvocato De Luca:

“Teoricamente potrebbero convocarli, siccome esiste per tutti la possibilità di recarsi sul posto di lavoro. Ma bisognerebbe garantire loro tutta una serie di misure come le mascherine, la bonificazione degli spogliatoi, la distanza di un metro, i controlli all’ingresso per misurare la temperatura. Impossibile nel mondo del calcio, anche per una questione insita al gioco stesso. È un gioco di contatti, come fanno gli atleti a tenere le distanze? Attenzione perché si andrebbe a violare l’articolo 2087 del codice civile che prevede la tutela dell’integrità fisica del lavoratore”.