Domenica! Beh, togliamo pure quel punto esclamativo. Si, perchè non è un ultimo giorno della settimana come gli altri. La mamma è in cucina ma non lavora per costruire il suo solito straordinario pranzo. Il Papà c’è ma soffre, non è carico e non spasima per l’attesa di un atmosfera che in fondo la Domenica non è mai mancata: uno stadio incollato al televisore, dei giocatori che toccano la palla, dei tifosi che esultano. Il Renzo Barbera pieno anche in serie D, i colori rosanero sotto il sole o sotto la foschia di un cielo che piange.
Mancano queste cose al padre, ma in fondo anche un po’ alla madre, che sa. Sa quanto è importante per un marito la Domenica, sa quanto questo giorno può essere vuoto senza la squadra del cuore. Allora arriva il piccolo figlio e domanda dove sia finito il Palermo, dove siano finiti il rosa e il nero, dove sia finita l’attesa che si cancella dopo qualche ora e che non dura in eterno, come quella di questi giorni ansiosi. Il padre risponde: “E’ tutta colpa di un maledetto virus a forma sferica che non ci può fare uscire di casa”. In fondo lo sa, lo sa che non è stupido il virus anzi, è furbo e si sa propagare velocemente perchè sfrutta la nostra idiozia, la nostra negligenza, il nostro egoismo.
La madre comincia ad accendere i fornelli, ma l’aria è grigia, mancano troppe cose a questa Domenica, sembra un lunedì qualsiasi. Mancano i parenti, manca l’aria di festa, manca una partita di pallone, quella del Palermo. Manca tutto ciò che rendeva questo giorno speciale e allora la madre fa fatica, non c’è inventiva, non c’è la voglia di stupire la zia o i nipoti con qualche piatto speciale, non c’è motivo di farlo, neanche per questa Domenica.
Il figlio è innocente ma sa che c’è qualcosa che non va, lo sa che anche oggi il suo Palermo non scenderà in campo. Lo legge nel volto del Padre che non parla e che pensa, che forse per quest’anno la sua squadra del cuore in campo non ci scenderà più, ma il figlio si interessa preoccupato del suo stato d’animo, ma lui risponde che bisogna solo aspettare, solo avere un po’ di pazienza. “La pazienza è la virtù dei forti, aspettiamo ancora un po’ e le Domeniche avranno di nuovo il loro sapore!”. Non sembrava convinto neanche lui ma il piccolo gli credette, sapeva che il peggio del giorno doveva ancora arrivare, in fondo erano solo le 11 del mattino. La madre accende un fornello e guarda il telegiornale, mette giù il ragù del giorno ma guarda sempre la televisione che non da belle notizie e l’alternanza va avanti come un battito lento del cuore, lentissimo, quasi assente.
Il bambino scende giù le scale, va in cucina, forse c’è un po’ di fame nello stomaco ma il volto della madre è esattamente uguale a quello del padre e allora non c’è voglia di chiedere quando sarà pronto il pranzo o perchè far bollire pennette e non fusilli. Passano due ore a non far niente, ad aspettare. Passano in fretta,”Ma sono soltanto due piccole ore” gridava, “Chissa quanto ancora devo aspettare per vedere il mio Palermo, i miei colori, i miei goal”. Oggi non è come gli altri giorni, oggi è Domenica, per questo torna in mente quella squadra, quello stadio, ma chissà quante altre ce ne saranno di questo aspetto, vuote, senza senso. Scocca l’ora di pranzo e la mamma alla fine qualcosa ha cucinato di buono, ma lo ha fatto senza entusiasmo, si leggeva nei suoi occhi che non c’era amore in quei fusilli al ragù o in quella scaloppina ai funghi. Valevano zero, forse meritavano di non essere mangiati, “ma li ha fatti la mamma” pensava il figlio e allora devo mangiarli anche se sono fatti senza gioia nel cuore. Il padre mangiava, la fame forse lo aveva distratto, e il piccolo quasi lo invidiava per aver dimenticato quel triste pensiero che invece lui proprio non toglieva dalla “capoccia”. Ha mangiato il primo, ha fatto pure il “bis”, ha mangiato il secondo, erano le 2 e 30. Il piccolo pensava che qualche Domenica fa avrebbero già acceso il televisore per prepararsi alla partita e lui invece nulla, concludeva la sua scaloppina come se nulla fosse.
“Sono le 3! Sono le 3!” urlava il figlio di 8 anni come se non ci fosse un domani. Ma niente, il padre aveva appena ordinato un caffè. Alle 15 oggi si accendeva la TV, ma non per vedere il Palermo e sognare, immaginare le cose più stravaganti che solo il calcio a volte sa estrapolare. Oggi si guardava la realtà in TV: 5.000 morti, tanti malati, troppi. Ma il piccolo non pesava il danno, troppo tenero per farlo, troppo concentrato sulla sua immaginazione, come deve fare un bambino. “Però come è possibile che lui ha dimenticato tutto così in fretta, lui che la Domenica è sempre stato un bambino come me, di fronte ad una partita, come può essersi calmato?”. Non c’era pace nell’animo del “cucciolo”.
Ore 17.00. Partita finita, ma non si sente nulla. Non c’è niente per strada e non si parla di calcio, l’argomento è sempre lo stesso, maledetto. Il Padre si alza dal divano, va incontro a suo figlio che piange perchè i rosanero hanno perso nella sua splendida immaginazione. Il grande chiede, il piccolo spiega. “Era solo nella tua testa amore mio” dice il saggio padre, “Sai perchè ho dimenticato tutto figlio mio?” Gli disse: “Mentre eri giù dalla mamma ho sorriso da solo, perchè ho immaginato che il Palermo tornasse a giocare. Ma non è questo il punto. Adesso c’è una partita più tosta da vincere, ed è la fuori e si chiama Italia-Coronavirus, è la finale di una coppa del mondo. Solo quando avremo vinto, potrà giocare il nostro amato Palermo, piccolo mio; e quando giocherà significa che l’Italia avrà vinto. Ho sorriso perchè pensavo che in fondo bisogna solo aspettare un po’ per tornare di nuovo a guardarci una partita insieme. Adesso penso solo alla finale di coppa del mondo però”.
Il padre non arrivò alla fine, il figlio si addormentò, forse non capì tutto, forse si smarrì. Ma si addormentò con consapevolezza, non era rassegnazione, era maturità, comprensione. Al risveglio si alzò dal letto e andò verso il suo babbo: “Papà, forza Italia!”. Aveva capito tutto. Adesso tifava anche lui.
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