Non mancano i bambini contagiati dal Covid-19, ma molti sembrano risparmiati dal decorso grave della malattia. E si è a lungo discusso sul motivo della loro protezione, considerati al pari degli anziani, soggetti a rischio.
A chiarire il tutto e ad avanzare una possibile ipotesi è il professore Lorenzo Dagna sulle pagine di Gazzetta, primario di Immunologia, reumatologia, allergologia e malattie rare dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
“I bambini non sono più protetti dal contagio, forse lo sono solo dal decorso più pericoloso della malattia. Una possibile ipotesi è che a proteggere i più piccoli sia, paradossalmente, una risposta un po’ più controllata all’infezione”.
L’immunologo prosegue poi nell’analisi infatti della malattia ormai a noi tristemente nota: “Questa malattia ha due fasi. Nella fase iniziale ciò che domina è la risposta al virus. In questa fase i pazienti hanno febbricola, sintomi sistemici, un po’ di debolezza, eventualmente problemi con l’olfatto. Nella maggior parte dei casi e negli asintomatici la malattia si ferma qui. Esiste poi una seconda fase che sembra dipendere molto meno dal virus e assai più dalla risposta immunitaria nei confronti del virus. E’ la fase della polmonite grave che può portare al decesso della persona per insufficienza respiratoria. Questa seconda fase sembra determinata dall’entità della risposta immunitaria al virus stesso”.
Ciò che quindi fa davvero la differenza è proprio la risposta immunitaria al virus differente nei bambini:
“Per quanto riguarda i bambini, è nozione comune che di fronte ad alcune malattie virali (come la varicella) si ha un rischio molto minore di sviluppare complicanze, anche estremamente gravi. In generale tutte le infezioni di tipo virale quando fatte da un bambino hanno un decorso molto meno violento che negli adulti, come se ci fosse una maggiore aggressività del sistema immunitario dell’età adulta rispetto al sistema immunitario dell’età infantile. Una risposta immunitaria un po’ più controllata, tipica della giovane infanzia, potrebbe in qualche modo determinare una protezione nei confronti della seconda fase della malattia caratterizzata da un eccesso di risposta immune.
In questo senso, ad esempio (è paradossale ma è una cosa che noi osserviamo in molti casi) i pazienti immunocompromessi, i pazienti oncologici che ricevono terapie, sembrano avere una malattia meno aggressiva, tanto che viene da pensare che possa in qualche modo avere un ruolo un freno del sistema immunitario che queste malattie danno. Oppure che alcune delle terapie seguite possano essere una sorta di elemento protettivo. Del resto cos’hanno in comune un bambino e un anziano immunosoppresso? Il fatto che abbiano entrambi un sistema immunitario meno violento nei confronti del virus. Preciso che però questa è un’osservazione che deve essere confermata e quindi è bene che le popolazioni più fragili continuino a prestare molta attenzione”.
E’ bene quindi però ricordare che i bambini non sono quindi immuni dal contagio ma probabilmente meno esposti ad un decorso grave della malattia…
“Esatto: il fatto che la risposta immunitaria dei bambini è meno violenta potrebbe tradursi in una non progressione alla fase iper-infiammatoria della malattia, che è quella in cui c’è un eccesso di risposta immunitaria, ovvero quella pericolosa. Ma i bambini non sono meno protetti dal contagio: tutti siamo parimenti a rischio, è bene ricordarlo”.
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