Iniziano a lasciare il carcere i capimafia detenuti al 41bis in questi giorni di allarme coronavirus, secondo Espresso-La Repubblica.
Il giudice di sorveglianza del tribunale di Milano ha concesso gli arresti domiciliari al capomafia di Palermo Francesco Bonura, 78 anni, considerato uno dei boss più pericolosi, condannato definitivamente per associazione mafiosa a 23 anni. È stato uno degli imputati del primo maxiprocesso a Cosa nostra dove è stato condannato.
Avvicinatosi a Bernardo Provenzano, per i magistrati ha costituito un punto di riferimento mafioso per il controllo di lavori pubblici e l’imposizione del pizzo. Uomo fidato dei boss palermitani, fra cui Nino Rotolo, ha gestito il racket, ed è stato uno dei più facoltosi costruttori della città, i cui beni per diversi milioni di euro sono stati confiscati. Negli anni ’80 viene processato e assolto per 5 omicidi e una lupara bianca. Secondo l’accusa ha eliminato i componenti di una banda di rapinatori che agiva senza il consenso di Cosa nostra. Viene fermato col suo guardaspalle e nell’auto venne trovata una pistola calibro 38 subito dopo due degli omicidi per cui venne rinviato a giudizio. Ma l’arma non era quella che aveva sparato e Bonura venne assolto per insufficienza di prove dalle accuse più gravi. Adesso era sottoposto al 41bis, il carcere “impermeabile”.
Il giudice di sorveglianza ha concesso gli arresti in casa sostenendo i motivi di salute per Bonura, sottolineando “siffatta situazione facoltizza il magistrato a provvedere con urgenza al differimento dell’esecuzione pena”. Ed escludendo il pericolo di fuga lo ha inviato a casa a Palermo, dove gli ha prescritto che “non potrà incontrare, senza alcuna ragione, pregiudicati” e inoltre, “lo autorizza” ad uscire da casa, ogni volta che occorrerà “per motivi di salute” anche dei familiari.
Il provvedimento fa seguito allo stato di emergenza in cui si trovano i penitenziari. E così per i mafiosi che stanno scontando la condanna, che per legge non possono usufruire di pene alternative, si aprono le porte del carcere. Su questo punto il 21 marzo scorso il Dap (l’amministrazione penitenziaria) ha inviato a tutti i direttori delle carceri una circolare in cui li invita a «comunicare con solerzia all’autorità giudiziaria, per eventuali determinazioni di competenza», il nominativo del detenuto, suggerendo la scarcerazione, se rientra fra le nove patologie indicate dai sanitari dell’amministrazione penitenziaria, ed inoltre, tutti i detenuti che superano i 70 anni, e con questa caratteristica sono 74 i boss che oggi sono al 41 bis. Fra loro si conta Leoluca Bagarella (che sta spingendo da tempo per avere gli arresti in casa) i Bellocco di Rosarno, Pippo Calò, Benedetto Capizzi, Antonino Cinà, Pasquale Condello, Raffaele Cutolo, Carmine Fasciani, Vincenzo Galatolo, Teresa Gallico, Raffaele Ganci, Tommaso Inzerillo, Salvatore Lo Piccolo, Piddu Madonia, Giuseppe Piromalli, Nino Rotolo, Benedetto Santapaola e Benedetto Spera.
Nelle scorse settimane, è stato posto agli arresti domiciliari dai giudici della corte d’assise di Catanzaro, Vincenzino Iannazzo, 65 anni, ritenuto un boss della ‘ndrangheta. Il suo stato di salute è incompatibile e in considerazione dell’attuale emergenza epidemilogica, con il carcere. Iannazzo è indicato come il capo del clan di Lamezia Terme (a luglio 2018 condannato anche in appello a 14 anni 6 mesi) e adesso torna a casa proprio a Lamezia.
Sempre con la motivazione dell’incompatibilità carceraria, attende di andare a casa anche il capomafia Benedetto “Nitto” Santapaola, condannato definitivamente per diversi omicidi fra cui quello del giornalista e scrittore Giuseppe Fava, assassinato a Catania il 5 gennaio 1984. Insomma, i mafiosi tornano a casa.
Il magistrato Nino Di Matteo, al fattoquotidiano.it, dice che “lo Stato sta dando l’impressione di essersi piegato alle logiche di ricatto che avevano ispirato le rivolte. Sembra aver dimenticato e archiviato per sempre la stagione delle stragi e della Trattativa stato-mafia”.
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