Vittorio Feltri ha ragione: siamo inferiori. Lo dicono da secoli, lo dicono con forza e crederci è inevitabile. Noi meridionali siamo inferiori rispetto ai settentrionali.
“Noi meridionali non godiamo fra voi di buona fama. Se mettiamo da parte la retorica unitaria, cretina e umiliante per noi, è un fatto che voi poco ci stimate”: a parlare è Gaetano Salvemini nel 1908. La questione, dunque, non è affatto nuova.
Feltri ha ragione, lo ribadisco. Ma ha ragione per chi? Vittorio Feltri ha ragione per tutti coloro che non hanno mai avuto il gusto di conoscere il meridione e che si limitano ad osservarlo da lontano, col timore di essere contagiati da un sapore mediterraneo che probabilmente non sono abituati a ricevere. Un sapore mediterraneo composto da tre “C”: colori, calore, cultura.
I colori del meridione che hanno ispirato le novelle di Verga e che hanno dipinto le tele di Guttuso, il calore delle spiagge campane che hanno ispirato le canzoni di Carosone prima e Pino Daniele poi, la cultura di un popolo che per primo in Europa nel 1848 chiedeva a gran voce la costituzione ai Borbone. Eppure, per il signor Feltri ma non solo per lui, siamo inferiori. Non bastano queste tre “C” per rendere il popolo meridionale degno di sé e della propria storia, anzi il divario è a suo dire così grande che si può più parlare di un “complesso di inferiorità”, bensì di un’inferiorità a tutti gli effetti.
Siamo inferiori perché da noi, nel meridione, la massima aspirazione è poter fare i “parcheggiatori abusivi”, stando sempre alle parole del noto giornalista bergamasco. Anche in questo caso Feltri ha ragione, ma continua ad aver ragione per tutti coloro che hanno abbandonato il Sud a se stesso: da noi tanti ragazzi stentano a trovare un lavoro, stentano a costruirsi un futuro ed è per questo che in molti finiscono drammaticamente per abbandonarsi alla malavita, con la criminalità organizzata pronta a reclutare costantemente nuova manovalanza. Quando si è più fortunati si lavora non per ciò che si è studiato, ma per ciò che il “mercato del lavoro” offre a noi meridionali: un mercato del lavoro non più in grado di “autoregolarsi”, e che nella propria anarchia economica-politica sta affogando il destino di tanti giovani ragazzi costretti a scappare dalla propria terra, dalle proprie radici, dalla propria storia.
Noi meridionali, per il signor Feltri e per tanti altri che la pensano come lui, siamo inferiori: se tali ci considerano è perché subiamo le barbarie delle logiche economiche che non ci permettono effettivamente di vivere equamente; la nostra è una società di eguali, ma non una società equa. Siamo percepiti come “inferiori” perché tali sono i mezzi destinati al Sud rispetto alle proprie necessità, perché nel nome dell’uguaglianza e del libero mercato non si è in grado di prendere decisioni straordinarie e realmente inedite per un meridione che ormai è soltanto l’ombra della propria storia.
I meridionali non sono inferiori, malgrado il signor Feltri e altri come lui la pensino così; l’Italia non è all’altezza di un problema meridionale che va avanti da secoli e che mai è stato affrontato degnamente. L’Italia così ha finito per dividersi in due corpi, in due vagoni, in due esseri che hanno intrapreso due binari diversi, e che sebbene viaggino alla stessa velocità non trasportano lo stesso carico: uno va più veloce dell’altro, e si accusa il Sud che malgrado si viaggi alla “stessa velocità”, questo non riesce a tenere il passo di un Nord spedito verso il mito del progresso. Un’uguaglianza formale che mai è riuscita ad essere sostanziale.
Citando Gaber: “E ora? Anche ora, ci si sente come in due. Da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo quallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano, senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai il sogno si è rattrappito. Due miserie in un corpo solo“.
Due miserie in un corpo solo: il settentrione e il meridione, nell’unico corpo dell’Italia. L’inferiorità del Sud è sconfitta del Nord, e viceversa: non esistono vincitori in questa storia. Esiste solo chi soffre di complessi di superiorità.
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