Forse proprio dai medici e dalla loro opinione affermativa può arrivare la svolta definitiva. Usciti finalmente da una serie nebulosa d’incertezza, affermano con sicurezza: giocare si può. Dietro cavilli burocratici, rimpalli governativi e presidenti molto spesso mossi da interessi personali, sono i medici a dire la propria sulla ripresa del campionato.
Lo fa Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani di Roma e tra gli esperti che affiancano la commissione medico-scientifica della Figc, intervenuto al Corriere dello Sport: “La data del 13 giugno per la ripresa del calcio e di tutto il mondo dello sport mi sembra plausibile. Abbiamo un mese di tempo, quindi altri due quindicine, cioè due periodi di possibili incubazioni e manifestazioni di sintomi del Covid 19, per trovare le soluzioni migliori. L’apertura dello sport è il segnale di un Paese che riparte, ma va fatto in sicurezza. Il virus lo sconfiggeremo definitivamente con le terapie appropriate e con il vaccino“.
Sulla stessa linea Fabrizio Pregliasco, virologo dell’università degli studi di Milano: “Adottando la massima precauzione il calcio può ripartire a metà giugno, perché oggi esistono strumenti di controllo e monitoraggio a risposta rapida che all’inizio della pandemia non esistevano. I test sierologici e i tamponi a risposta rapida applicati ad ogni partita su soggetti già controllati possono consentire una ripartenza in quasi sicurezza… la certezza non si avrà mai“.
Il professor Enrico Castellacci, presidente dell’Associazione Medici del Calcio, parlando a “Radio Anch’io lo sport” su RadioRai, ha offerto anche diverse soluzioni per la ripresa:
“Si potrà giocare, cercando di rischiare il meno possibile. Bisogna che finalmente vengano proposte quelle famose linee-guida che possono essere applicate, altrimenti sono solo carta straccia. Finora sono stati fatti protocolli non applicabili“. Castellacci – lamentando che “i medici non sono mai stati invitati alle trattative per le linee guida” – chiama in causa anche i calciatori. “Non si possono costringere ad un’ulteriore quarantena, bisognerà piuttosto responsabilizzarli, cercando di essere un poco più flessibili ed entrando nella logica tedesca“.
Massimo Andreoni, docente di malattie infettive all’università Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive (Simit), ribadisce la sua posizione: «In Germania, se si individuano positivi sono previsti tamponi per tutti e isolamento di quattordici giorni solo per i positivi. È solo un problema di test, occorre pianificare una batteria periodica di tamponi a cui sottoporre i giocatori».
Andreoni sposta poi il dibattito sul tessuto sociale. «Se c’è un operaio positivo in fabbrica che cosa accade? Si richiude la fabbrica per quattordici giorni? No. Il protocollo non deve portare a una fase 2 a singhiozzo».
Marco Tinelli, consulente per le malattie infettive dell’Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) Auxologico di Milano, è il più ottimista:
“Oggi sono un ottimista: vedrete che se riparte il calcio ci saranno pochissimi contagiati. Saranno eventi sporadici“.
Maria Rita Gismondo, virologa dell’Università degli Studi di Milano e direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica dell’ospedale Sacco di Milano, conclude ribadendo:
“Non capisco perché esistono tanti timori per riaprire al calcio e non si hanno le stesse preoccupazioni nell’autorizzare uno spettacolo concertistico all’aperto. Le regole per la sicurezza, distanziamento e mascherine obbligatorie valgono per uno stadio come per gli spettatori dell’opera. Non so chi sia poi più distanziato, se dodici orchestrali dell’Opera o undici giocatori in campo“.
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