Il Presidente della FIGC, Gabriele Gravina è intervenuto per l’esordio di #MaratonaSport: uno degli appuntamenti quotidiani promossi da Eleven Sports per parlare del post Covid-19. Grande entusiasmo per una ripartenza tanto attesa:
“Sono ottimista e mi sembra che i numeri ci diano ragione. Oggi la curva epidemiologica ci lascia ben sperare e non lo dico solo per il calcio: è evidente che, se dovesse continuare questo trend, chiederemo al Comitato Tecnico Scientifico di allentare alcune restrizioni eliminando una quarantena che mi sembra particolarmente eccessiva, soprattutto se c’è l’idea di aprire agli sport amatoriali come il calcetto“.
Non mancano anche i timori nel caso si dovesse ripresentare un soggetto positivo:
“Mi auguro che il mondo del calcio non sia così sfigato da beccare un nuovo caso di Coronavirus. Noi ripartiamo sapendo in modo responsabile che ci sono ancora dei rischi: dobbiamo governarli in maniera corretta perché un blocco ulteriore sarebbe una grande beffa. Domani il calcio in Italia riparte, in linea con quello che è avvenuto a livello europeo: questo è motivo di grande soddisfazione – ha aggiunto il numero uno della Figc – Conseguire questo obiettivo non è stato facile, le condizioni oggettive non hanno dato massima serenità, al contrario abbiamo vissuto momenti complicati, difficili, di grande tensione”.
Grande attenzione è stata prestata al Fondo Salva Calcio:
“Il nostro Fondo Salva Calcio è un’operazione unica in Europa. Qualcuno sminuisce o cerca di demolire ciò che facciamo, ma la Federazione ha messo a disposizione le sue risorse accantonate in tanti anni di sacrifici“, ha rimarcato Gravina.
Non manca anche un accenno alla rivoluzione del format, per quel che riguarda anche il semi-professionismo:
“Due temi in particolare mi stanno a cuore.Parlo del semi-professionismo: questa può essere l’occasione per dare stabilità a tanti sport e sistemare le contraddizioni che appartengono ormai al passato. E poi c’è l’idea di costruire una figura nuova del nostro lavoratore sportivo: non possiamo più immaginare che alcuni atleti, cito per esempio Cristiano Ronaldo, siano lavoratori subordinati. Faccio fatica oggi a pensarlo“.
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