Il 17 giugno di cinquant’anni fa si giocò la semifinale dei Mondiali messicani passata alla storia.
Ecco la testimonianza di un palermitano.
“Sull’1-1 mi preoccupai, sembrava un segno del destino. Alla fine abbracciai il massaggiatore”.
Questo il titolo di Repubblica, oggi in edicola
Quando il mondo salì sull’ottovolante di Italia-Germania, lì, allo stadio Azteca, nell’epicentro di quel batticuore via satellite, c’era anche un palermitano. Giuseppe Furino, detto Furia, mediano di spinta della Juventus ed ex picciotto rosanero, era uno dei 22 convocati al Mundial messicano. E quel pomeriggio del 17 giugno 1970 si accomodò in tribuna….
Inizia così l’articolo di Mario Di Caro che intervista Beppe Furino, palermitano di nascita, figlio di madre Usticese, ma una carriera a Torino con la maglia della Juventus.
Vi riportiamo alcuni passaggi dell’intervista che potete trovare integralmente su Repubblica, in edicola
“..credo che la partita venga ricordata per quella mezz’ora imprevedibile e aperta a qualsiasi risultato: s’erano perse le distanze e il controllo del gioco, le squadre si sbilanciavano, avevano perso il loro concetto di attenzione, tutti all’attacco e tutti in difesa, e venivano fuori delle situazioni incredibili… la nostra era una nazionale di alto livello così come la Germania, per cui era un incontro di grande difficoltà per entrambe le squadre. Non c’era una squadra che potesse sentirsi al sicuro… Non lo so perché c’era veramente una spaccatura tra quelli che giocavano e quelli che non giocavano, quindi non sono al corrente di quello che abbia potuto dire Valcareggi.
Rivera allora era un giocatore fantastico: aveva soluzioni tecniche che potevano cambiare le sorti della partita in qualsiasi momento.
Gestirlo con Mazzola fu una opportunità che permise a tutti a due di tenere le energie per poter giocare al meglio. Devo dire che io spesso ero avversario diretto di Rivera. Mazzola era un giocatore diverso, entrambi molto pericolosi: Mazzola quando giocava da mezza punta, con quello scattino, era quasi imprendibile, ma sia Mazzola che Rivera non è che giocassero a centrocampo.
I tempi supplementari sono volati, non me ne sono accorto per l’intensità delle situazioni che si sono venute a creare: segnava la Germania e poi attaccava l’Italia e segnava. Fu una mezzora di gioco scoppiettante e anche paradossale come situazione, ma in quei momenti lì la squadra non aveva più freni e cercava le opportunità per portarsi in vantaggio. La difesa esisteva fino a un certo punto, tutti avanti e indietro a fisarmonica…
Alla fine della partita ci fu una grande esultanza. Accanto a me c’era il massaggiatore col quale io passavo un po’ il tempo, uno che veniva chiamato a mezzanotte perché qualcuno si sentiva le gambe pesanti, ma lui non andava in panchina; fu un abbraccio molto bello. Ci furono tanti abbracci ma contenuti, misurati, come era giusto che fosse: vincere una semifinale è importante ma ancora non avevamo fatto nulla.
Io non mi vedevo in tribuna ma tenga conto che un anno prima giocavo nel Palermo e quindi il solo fatto di essere ai Mondiali fu una esperienza che mi servì moltissimo: ammazzavo il tempo guardando tutte le partite dei mondiali e così ebbi modo di studiare le caratteristiche dei giocatori. Ho delle considerazioni mie su quel Mondiale: non venni sufficientemente utilizzato. Sì, c’erano a centrocampo giocatori ottimi, Bertini, De Sisti, ma la mia opinione è che il tecnico utilizzò troppo la stessa squadra e uno dei motivi della finale giocata così male è perché eravamo al lumicino come risorse fisiche. Fossi stato nei tecnici, Furino l’avrei utilizzato.
D’estate a Ustica? Non tutti gli anni. Sì, lo so, è sempre bellissima”.
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