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Pechino: aumentano i casi e scoppia l’allarme salmone. Stop ai voli e scuole chiuse

A Pechino ancora nuovi contagi. La città chiude le porte, ferma i voli e schiera 100 mila operatori sanitari e lunghe code per i test di massa, anche in 5 file diverse.
31 nuovi contagi fanno crescere il livello d’allarme nella capitale della Cina, che ha già chiuso le scuole in diverse aree. Sottoposti a tampone più di 100 mila abitanti, i test proseguono a ciclo continuo. Pechino ha una capacità di 90 mila tamponi al giorno e quindi, 137 casi in sei giorni restano ancora un numero confortante e sotto controllo. Ma questa volta non sono i pipistrelli i nemici. Si mette sotto accusa il “salmone importato” scatenando la reazione della Norvegia. Perchè il salmone?

Perchè nel mercato pechinese di Xinfadi, quello dove è emerso il nuovo focolaio di coronavirus, tracce di Sars-CoV-2 sono state trovate su un banco su cui si tagliava il salmone. In verità frammenti del patogeno sono stati riscontrati un po’ ovunque all’interno della struttura, ma fin dalle prime ore i media cinesi si sono concentrati su quelle parole “salmone importato”.
L’ipotesi che sia stato il pesce norvegese a contagiare a Pechino si è diffusa a macchia d’olio e le autorità hanno deciso di sospendere le importazioni di salmone dall’estero, come hanno confermato alcuni dei maggiori produttori norvegesi.
Se non tutti, la sostanza è che molti cinesi credono che il colpevole sia il salmone. Alcuni si chiedono perfino se non fosse colpa del pesce anche nel mercato di Wuhan, e non dei pipistrelli, dei furetti o dei pangolini.
la risposta del governo è decisissima: Pechino, simbolo del potere, va difesa a tutti i costi. Dopo aver alzato il livello di allarme in città al secondo più alto e richiuso tutte le scuole, le autorità hanno cancellato la maggior parte dei voli in uscita dagli aeroporti della capitale, sempre più bloccata (sebbene non ancora in “lockdown”) e ora anche isolata dal resto del Paese.
Dal punto di vista scientifico l’ipotesi del salmone è molto improbabile, come hanno ammesso anche alcuni scienziati cinesi. È praticamente impossibile che il pesce sia un vettore del virus in grado di trasmetterlo all’uomo. Ed è molto improbabile anche che il virus, nel caso abbia contaminato il cibo durante la lavorazione, sopravviva a un trasporto internazionale e poi si “liberi” una volta che il salmone viene scongelato. Le tracce del patogeno peraltro sono state trovate sul banco, non sul cibo, una ricostruzione molto più probabile è che qualcuno ci abbia tossito sopra.
Shi Guoqing, vicedirettore del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie, ha comunque dichiarato che le autorità non credono che il pesce sia il portatore del virus. “Nessuna prova è stata trovata che il salmone è l’origine o il corriere del coronavirus”.
La tesi è stata smentita anche dalla Norvegia, con una dichiarazione del ministro della Pesca.
In realtà, nell’accusare il “salmone importato”, alle autorità cinesi non interessava tanto la parola “salmone”, quando l'”importazione”. Da settimane infatti, cioè da quando hanno contenuto l’epidemia scoppiata in Cina, hanno spostato l’attenzione sul rischio dei contagi importati, proprio questa è la parola, dall’estero, dai cinesi di ritorno agli stranieri. Un modo per comunicare all’opinione pubblica che la Cina aveva vinto la battaglia, che ora toccava al resto del mondo fare lo stesso.
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