Sono stato indeciso sino all’ultimo se andare o meno: alla fine ho fatto la scelta giusta. Quel Palermo era una squadra che ci rendeva bambini, tutti fratelli e figli di Palermo.
Questo il titolo di Repubblica, oggi in edicola.
L’articolo di Isidoro Meli, che è uno scrittore palermitano autore di libri come “La mafia mi rende nervoso” o “Attia e la guerra dei gobbi”, è infatti un racconto, quasi un romanzo, scritto con vena poetica per raccontare il Palermo dei Picciotti, quello del 1995 ed in particolare quello di una partita che i non più giovani ricorderanno per sempre anche per la pioggia incessante che cadde per l’intera gara. Era un Palermo-Pistoiese che poteva spingere i rosanero verso il secondo posto in classifica.
Vi riportiamo alcuni stralci dell’articolo che potete trovare in maniera integrale su Repubblica, in edicola.
Ho frequentato lo stadio nei primi anni dopo la rinascita. Ero presente durante Palermo- Ajax 4- 0 con tripletta di Maurizio D’Este e tifosi sfatti di delirio, anno 1988… ho avuto il privilegio, a diciassette anni, di vivere allo stadio la stagione del Palermo dei Picciotti. È di loro che voglio raccontarvi. Del 4 novembre 1995.
La formazione comprende un certo numero di scafati mestieranti del pallone e alcuni giovanissimi figli della città tirati fuori dai campi di provincia, e va ripetuta come una formula magica tutta di fila senza fermarsi: BertiAssennatoGaleoto-FerraraBiffiIachiniDiGiàCaterino-T-edescoVasariScarafoniSicignanoCi ardielloTascaPisciottaCompagno-DiSommaBarraco.
I miei preferiti però sono Giovanni Caterino e Tanino Vasari. Per una questione di imprinting: sono i primi a farci vedere quello che ci aspetta. Fine agosto, Coppa Italia contro il Parma. .. Finisce 3- 0 e via agli ottavi, in cui a inchinarsi è il Vicenza di Guidolin vincitore della Coppa l’anno dopo. 1-0, gol di Galeoto. Sono forse le due partite più celebri del lotto. Ma l’apice, per chi l’ha vissuta, è la sera del 4 novembre.
Il Palermo è quarto e lo è meritatamente, la sera che la Pistoiese arriva alla Favorita. Una vittoria significherebbe secondo posto e cominciare a sognare sul serio. Non è complicato. Basta giocare come stiamo giocando, palla a terra e corsa sulle fasce. E invece.
Invece arriva un diluvio novembrino, pioggia a secchiate dal pomeriggio fino a sera. Io e mio padre non sappiamo che fare, “andiamo o non andiamo?”, ” tanto l’annullano sicuro”, alla fine andiamo perché non si sa mai. Facciamo bene. Lo stadio è pieno di gente. Fradicia di pioggia e speranze.
Il prato è ridotto peggio di un campo di patate dopo la vangatura. Altro che palla a terra e corse sulle fasce, altro che dribbling di Vasari e Giacomino dai piedi di velluto .. È una serata in cui ci vuole altro. Ci vogliono grinta e scagghiuna.
Ma i ragazzini se l’accollano. Ci mettono tutto quello che ci vuole, la grinta, gli scagghiuna, l’energia folle, i piedi buoni. Ci mettono il divertimento.
Vedo i calciatori della mia squadra fare quello che facevo io da ragazzino nei terrificanti campetti in tufo indurito della mia città: scivolare fottendosene di tutto, di caviglie e di menischi, pensare solo al pallone, alla porta avversaria, pensare a divertirsi.
… non c’è niente da fare: è la classica partita da zero e zero.
Poi arriva il minuto 83: Giacomo Tedesco raccoglie un pallone fuori area e tira un sinistro basso e secco, una deviazione mette il portiere fuorigioco, il pallone va in porta con una parabola velenosissima e mentre tutto lo stadio è già in piedi ad esultare, cozza contro la traversa. Perché è una cazzo di partita da zero a zero. Ma non c’è neanche il tempo di rassegnarci. Il pallone rimbalza e Tanino Vasari è già a mezz’aria, coordinato alla perfezione, pronto per il rimpallo. Girata al volo, faccia nel fango, uno a zero. E lo stadio esplode.
Io vorrei buttarmi nella pozza insieme ai giocatori, sbucciarmi le ginocchia e riempire di fango i miei capelli e restare disteso lì a guardare il cielo novembrino. Invece guardo mio padre, il tifoso più snob che io conosca. È raggiante, felice come un bambino. Siamo tutti bambini in quel momento, tutto lo stadio, tutti i tifosi, tutta la città. Tutti quanti sporchi di fango fino ai capelli e felici come bambini.
Per questo lo chiamavano Palermo dei picciotti. Perché ci rendeva tutti bambini. Tutti fratelli e figli di Palermo.
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