Icona del calcio, attaccante puro sangue, l’ex calciatore montenegrino ha raccontato i suoi giorni con il Covid:
”Ero in Montenegro, a Podgorica, ho sentito un po’ di alterazione: avevo la febbre a 38,2. Niente di che. Nei giorni successivi la temperatura è calata, per cui ero abbastanza tranquillo ma visto il periodo ho preferito fare il tampone: era positivo.”
”Non l’ho presa bene, sinceramente. Con tanta gente che muore, anche nel mio Paese dove la situazione è abbastanza allarmante, ero preoccupato. Mi sembrava tutto strano: non avevo sintomi così gravi, eppure mi hanno ricoverato in ospedale nel reparto Covid”.
LA TEMPISTICA
”Tre giorni. E quando mi hanno dimesso ho cominciato la quarantena. Dopo altri 12 giorni mi hanno fatto di nuovo il tampone ed era negativo. Il virus se ne era andato, così come era venuto. Misteriosamente. Mi è rimasto solo un segno nei polmoni evidenziato dalla Tac. Ho avuto per fortuna una forma lieve: non ho mai avuto crisi respiratorie o malesseri gravi. E anche in famiglia tutto ok”.
IL MESSAGGIO CHE VUOLE MANDARE L’EX GIALLOROSSO
”Vorrei che non abbassassimo la guardia con questo virus. E’ un nemico invisibile, ti può colpire alle spalle senza che tu te ne accorga. E magari poi colpisce le persone a te più care”.
IL RITORNO IN MONTENEGRO
”In realtà vivo sempre a Lecce, ma sono venuto qui perché studio da allenatore. Presto prenderò il patentino, che è equiparato agli altri tesserini europei: potrò allenare in Serie C, o come secondo in Serie A”.
FUTURO ALLENATORE?
”Eh sì, si cresce. In campo ero più un creativo, in panchina invece serve maggiore lucidità. Mi sto impegnando”.
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