Mario Bronzino è un giovane fotografo palermitano che ha deciso di studiare fotografia presso l’accademia di Catania.
Ha esposto in diverse occasioni e incentrato i suoi ultimi lavori nella ricerca di un nuovo modo per fotografare, dando così luce al progetto “Viaggio in Sicilia”, di cui parla nella seguente intervista.
È stato l’anno del lockdown, l’anno dello smart-working. La tua fotografia ha preso forma in questo periodo, specialmente con il progetto “Viaggio in Sicilia”. La tua anima artistica ha trovato un’ espressione “digitale”, ma tu hai desiderato poi stamparla, renderla materiale. Quanto credi sia importante aprire il mondo della fotografia al digitale e soprattutto, ad internet?
Ad essere sincero non credo che la mia fotografia abbia preso forma. Probabilmente non la prenderà mai. Di certo so che il lockdown ha segnato drasticamente il mio modo attuale di fare fotografia. “Viaggio in Sicilia” è la trasposizione attuale di “Viaggio in Italia” di Luigi Ghirri, un viaggio dove il mezzo cambia, i motivi per cui si realizza una fotografia cambiano. Il lockdown mi ha aiutato a comprendere che non esiste solo la macchina fotografica e che non è necessario viaggiare uscendo per forza dalla propria casa. In questa nuova ottica si entra in quello che è il mondo digitale dove tutto ciò di materiale che conoscevamo perde la sua materia, ma non il suo valore. Aprire il mondo della fotografia al digitale è importante per mettere in comunicazione il mondo materiale con il mondo digitale. Probabilmente per questo motivo stampo le mie fotografie.
Sei un fotografo molto giovane. Hai abbandonato gli studi di giurisprudenza per l’amore folle della fotografia. È una scelta che qualcuno potrebbe considerare folle. Non soltanto hai scelto di studiare fotografia, ma hai anche scelto di non seguire un percorso professionale tradizionale, non cercando matrimoni ed eventi, ma cercando di inserirti nel mondo espositivo. Perchè?
Tra un articolo e l’altro il mio principale pensiero era di uscire e fare una fotografia che avevo precedentemente pensato, costruito e organizzato. Quello che chiunque riterrebbe folle per me è stato necessario, perché solo seguendo la fotografia ho ritrovato una serenità che mi mancava da tempo. Dedicarsi costantemente a ciò che si ama è fondamentale per potere stare bene con sé stessi e trovare un posto in questo mondo. Per questo motivo non ho seguito i matrimoni o gli eventi, per il semplice motivo che non amo nessuno di questi. Io amo comunicare, provare emozioni e condividerle con gli altri. Solo esponendo riesco a parlare con chi non conosco e a presentarmi per quello che sono.
Inoltre, credi che un’ artista debba avere una forte componente egocentrica per essere sempre motivato? Se non fosse così, quali credi siano i “motori” di un’artista?
L’egocentrismo di un artista rende le sue opere assolute, ovvero scisse da ogni legame. In questo caso si tratta del legame con gli altri. L’artista può essere fiero e contento delle sue opere, ma deve ricordare che non le realizza soltanto per una sua intima contemplazione. Per questo motivo credo ridicolo l’egocentrismo di ogni artista, perché lo trasforma in homo faber, ovvero un uomo che fa e basta. L’artista deve avere come motore principale gli altri, i sentimenti, le storie attorno a sé. Se l’artista realizza per egocentrismo probabilmente dovrebbe limitarsi a riempire la sua abitazione di opere proprie e di specchi che deformano la sua altezza.
Nei tuoi progetti rivedi pezzi di te? Credi siano tutti un pò autobiografici? O credi si possa creare senza metterci il proprio “sale” in un’opera?
Credo fermamente che sia sacro che un artista non metta sempre del proprio “sale” in quello che fa per diversi motivi. Tra questi il più importante è che dimostra di conoscere le opere degli altri e che ha una vasta cultura. Anche copiare fa bene ad un artista, perchè lo aiuta a comprendere la sua strada, ciò che gli piace e che gli interessa. Ma è fondamentale che in ogni cosa che si realizzi ci sia la propria storia e non quella degli altri. Nei miei lavori vedo me, la mia famiglia, i miei amici e i luoghi in cui vivo. Non riuscirei mai ed escludere tutto questo. Non riuscirei a vivere senza radici.
Ha un formato quadrato, ha una palette colori stretta, dove il contrasto sembra quasi non abbia assolutamente posto. Perchè questa scelta? Non ho mai trovato senso al “perché lo hai fatto così?” Una cosa si fa in un modo perché la si sente in quel modo. Però negli anni ho trovato la risposta a queste mie scelte stilistiche. Il contrasto a mio parere è un modo per indicare all’osservatore la linea da seguire per comprendere la fotografia. Stessa cosa il colore e Kandinsky stesso aveva compreso come un colore fosse interpretato in un modo rispetto ad un altro o come venisse notato prima rispetto ad un altro. Io non voglio questo. Voglio che il mio osservatore sia libero di muoversi nell’opera come meglio crede. Non nascondo però di realizzare dei lavori in cui questi fondamenti svaniscono in parte nel nulla, ma questo si ricollega al principio di questa risposta: una cosa si fa in un modo perché la si sente in quel modo.
Qual è la tua reazione quando la prima domanda che ti rivolgono è quale attrezzatura usi? Cosa credi che crei veramente un fotografo?
Un tempo mi chiedevano che macchinetta usassi e io rispondevo “quella del caffè” perché la mia attrezzatura è molto pesante. Ad oggi realizzo fotografie dal PC, con il mio smartphone, polaroid, con il mio drone o a rullino, quindi credo che inizierò a rispondere con una lista precompilata e con qualche link che rimanda a dove acquistare ogni cosa che ho. Però l’attrezzatura non fa il fotografo. Ciò che crea veramente il fotografo è il suo interesse nel raccontare qualcosa e la curiosità di scoprire nuovi modi di raccontarla. Tutto il resto è collezionismo d’oggetti.
Come va la collaborazione con “Fondazioneoelle” ? Parlaci soprattuto del tuo rapporto con il mondo dell’arte in generale: quali sono le figure di riferimento con cui odi avere a che fare?
La collaborazione con la Fondazione Oelle va alla grande e la mostra collettiva realizzata al Palazzo della Cultura di Catania ha avuto un enorme successo. Nessuno probabilmente si aspettava questo successo e che attirasse così tanto interesse. Tutto è nato per caso da una Call to Artists dove si richiedeva di realizzare un’opera che parlasse del lockdown e a quanto pare la mia opera estratta da “Viaggio in Sicilia” è risultata interessante. Così è nato “Sine Die”, un lavoro ricchissimo di arte e significato, ma soprattutto di unione e sostegno. Ancora non ci sono figure di riferimento con cui odio avere a che fare, perché tutto ciò che realizzo, lo realizzo perché ne condivido la causa o perché sono spinto da un forte sentimento. In questi casi tutto viene sempre ripagato.
Perchè ti sei avvicinato così tanto alla Fotografia?
Il mio avvicinamento alla fotografia è stato quasi naturale. Amavo parlare, esprimere pareri ed emozioni, ma ad un certo punto capii come le parole non bastavano. Mi serviva gettare su un supporto quelle parole, che poi portavano con sé tutto ciò che avevo dentro. E in questo la fotografia è stata estremamente d’aiuto perché grazie ad essa potevo fantasticare, esprimere l’invisibile, ma rimanendo coi piedi per terra.
Quale sarebbe l’obiettivo professionale che vorresti raggiungere il giorno prima di morire?
L’ultimo giorno di vita non vorrei seccature, ma se proprio devo rispondere facendo riferimento ad un mio obiettivo professionale, vorrei salutare i miei studenti dicendo loro questo: “Grazie per avermi insegnato l’arte di vivere.”
Dove possono cercare i tuoi lavori i nostri lettori?
I miei lavori sono disponibili al mio sito www.mariobronzino.it o sul mio profilo Instagram @iostomario, dove cerco di realizzare il diario dei luoghi che vivo, con il formato che voglio, coi colori che voglio e con le parole che voglio.
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