Le partite di calcio hanno il grande, grandissimo dono di avere un potere evocativo che va al di là di ogni possibile immaginazione umana. Accade in questo modo che un evento sportivo è molto più della manifestazione calcistica in sé, diventando allo stesso tempo simbolo e rappresentazione di ideali di resistenza storica capaci di imprimere orgoglio e fierezza all’interno di un popolo.
Palmiro Togliatti, storico segretario del PCI per circa quarant’anni, una volta rimproverò un dirigente di partito per la scarsa attenzione rivolta al calcio, dicendogli: “Pretendi di fare la rivoluzione senza sapere i risultati della Juventus?”. L’esclamazione, forse un po’ pretestuosa, ribadisce in ogni caso lo stretto collegamento tra popolo e sport.
Perché, in fondo, lo sport finisce per essere la metafora delle nostre vite. Questo è particolarmente vero quando la squadra che supporti si chiama Palermo, e questa squadra è soggetta, di fatto fin dalla sua fondazione, ad un continuo abbandono da parte del calcio italiano, che fin dalla sua fondazione nei primissimi anni del ‘900 si è autorganizzato in tornei settentrionali che escludevano del tutto le zone meridionali, le quali, come già vi abbiamo raccontato, tendevano ad organizzarsi autonomamente in tornei macroregionali.
Palermo-Catania di ieri sera è una storia di resistenza destinata a restare unica. Ciò che riesce a passare alla storia sono gli eventi capaci di tracciare un netto confine tra ciò che era e ciò che è, quelle narrazioni capaci di evocare all’interno dell’animo di chi le ascolta sentimenti, emozioni e desideri di rivalsa, di compassione, di forza. Palermo-Catania ieri sera è stata allo stesso tempo una storia capace di suscitare rivalsa, compassione e forza.
Banalmente si può dire che quando si viene dati per spacciati, gli esseri umani sono comunque capaci di tirare fuori delle energie oltre le proprie potenzialità, che riescono a sovvertire la storia incanalando direzioni difficilmente prevedibili. I Vespri siciliani sono probabilmente una delle esperienze maggiormente significative che si incanalano in questa direzione: volendo semplificare un quadro storico ad onor del vero indubbiamente più complesso, anch’essi furono espressione di un popolo che non volle sottomettersi ad una delle casate più forti dell’epoca, gli Angioini, sostenuti persino dalla forza papale.
Ciò che spesso non viene raccontato dei Vespri siciliani è la dinamicità che fu in grado di imporre il popolo palermitano all’interno delle trattative per la determinazione del futuro dell’isola; ci furono momenti in cui, infatti, i contendenti furono quasi del tutto d’accordo per cambiare tutto per non cambiare nulla, come avrebbe detto qualche secolo dopo Tomasi di Lampedusa, ma il popolo palermitano fu profondamente contrario a questo esito delle trattative. Alla fine la storia scrisse il proprio corso e, ribadendo ancora una volta la presenza di un quadro storico sicuramente più complesso, il popolo fu in grado di ribellarsi compiutamente contro un destino che non aveva voglia di accettare.
Così ha fatto il Palermo ieri: non ha accettato di uscire dal campo sconfitto, ma ha lottato, si è sacrificato e ha mostrato a tutta Italia di non essere una squadra che merita l’ultimo posto in classifica. I calciatori hanno perfettamente incarnato quello spirito di resistenza tipico del popolo siciliano, uno spirito e una consapevolezza che nel corso dei secoli l’ha condotto davanti a tantissimi episodi unici di resistenza: dai già citati Vespri fino ai moti del 1848, senza dimenticare i fasci siciliani e la strage del pane del 1944.
Essere palermitani vuol dire conoscere la resistenza sulla propria pelle, averla impressa nel cuore e nell’animo: ieri gli undici eroi sportivi protagonisti della partita hanno portato con sé non solo una grande prestazione calcistica, bensì l’orgoglio e lo spirito di una città mai doma alla sottomissione, all’ingiustizia, alla paura.
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