Oggi doveva essere la vigilia di un altro atteso derby siciliano: Palermo – Trapani. Le vicissitudini economiche dei granata hanno portato all’esclusione dal panorama calcistico, ma i trapanesi sono solo gli ultimi in ordine cronologico.
Un paio d’anni fa toccò proprio ai rosanero, usciti massacrati dalla gestione Zamparini e dal breve periodo dei Tuttolomondo. Andando ancora indietro nel tempo a soffrire fu il Catania, seppur per ragioni differenti. Gli etnei vennero retrocessi in C per la nota vicenda dei “treni del gol” che vide Pulvirenti indagato in prima persona. Successivamente una serie di debiti che emersero e misero il club rossoblu in serissime difficoltà economiche, nelle quali vessa ancora oggi.
E il Messina? Dopo gli anni illustri in Serie A, sullo stretto ormai da svariate stagioni manca il calcio che conta. Una tifoseria spaccata, talmente tanto da essersi formate due squadre, entrambe militanti in Serie D. Una dispersione d’energie che i sostenitori giallorossi pagano a caro prezzo.
Insomma, tirando le somme del calcio siciliano nell’ultimo decennio viene da piangere. Il “pallone” nella nostra isola è morto e sepolto e difficilmente sarà resuscitato nel breve periodo. Mai come in questo caso, il calcio, è specchio economico della società in cui viviamo: un contesto senza ambizioni, prospettive, senza sviluppo. I competitor del nord, ma non solo (vedi Campania), appaiono irraggiungibili.
Eppure la passione non ci manca, anzi. Difficile trovare tifoserie più calorose delle nostre e non è mica poco per un imprenditore, poter contare su bacini d’utenza grossi e vogliosi di tornare alla luce della ribalta. Ma allora come mai siamo così indietro? Un motivo lo potremmo ritrovare nell’insostenibilità che ha raggiunto ad oggi il calcio. La gestione richiede somme sempre più ingenti, con ricavi sempre più incerti, specie in categoria al di sotto della Serie B. Questo dovrà essere un tema di prim’ordine per i vertici nazionali, che hanno il dovere di rendere più appetibile questo sport.
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