Elvira Bruno non aveva accettato di consumare un rapporto sessuale con suo marito. Da qui sarebbe scaturita l’ira di Naili Moncef, che non tollerando il rifiuto della donna l’avrebbe strangolata all’interno delle mura domestiche. L’episodio risale allo scorso 17 aprile 2019. In quel giorno lo stesso Moncef, di origini tunisine, ha poi segnalato l’omicidio alla polizia, consegnandosi.
La tragica vicenda è accaduta in via Pecoraro Lombardo, nei pressi della Stazione Notarbartolo. A chiamare la polizia è stato lo stesso aggressore che resosi conto della gravità dell’atto, si è autodenunciato. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il determinante gesto dell’uomo sarebbe stato causato da motivi futili. L’uomo aveva perso giorni prima il lavoro, per cui il mantenimento della famiglia sarebbe dipeso totalmente dalla donna. Prima della segnalazione l’uomo avrebbe coperto il cadavere con un telo. Poi avrebbe preso il caffè e fumato un paio di sigarette. Soltanto dopo avrebbe chiamato le autorità.
Durante uno degli interrogatori l’accusato avrebbe riferito di essere in buoni rapporti con la moglie ma di essere infastidito dal fatto di non conoscere personalmente le persone a cui lei di notte assisteva come badante. In base alle sue dichiarazioni, nel giorno dell’omicidio la donna sarebbe uscita dalla doccia con un asciugamano, lui si sarebbe avvicinato e la avrebbe sfiorata. La vittima tuttavia lo avrebbe respinto violentemente. Da quel gesto, l’ira dell’uomo.
La versione dei figli
La versione dell’assassino però non avrebbe convinto gli inquirenti. Gli agenti a seguito dell’omicidio hanno infatti trovato la vittima completamente vestita e con nessun asciugamano vicino. Ascoltando, inoltre, la testimonianza dei figli della donna avuti da un precedente matrimonio, è emerso che Elvira era intenzionata a separarsi dal marito.
La corte di appello ha confermato la condanna a 30 anni di carcere al cuoco tunisino che ora dovrà anche risarcire le parti civili e i familiari della vittima.
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