Aziz Toure racconta la propria storia fatta di coraggio, determinazione voglia di farcela malgrado tutto e tutti. Il calciatore della primavera del Palermo non ha avuto una vita facile, e nel corso di un’intervista rilasciata a Fanpage il giocatore ha parlato del proprio trascorso.
L’ARRIVO DI AZIZ
«Ero nei centri di detenzione. A volte andavamo a lavorare per guadagnare qualcosa, il pane da mangiare. Ti dicevano di andare a lavorare per loro, e poi se ci mettevamo d’accordo per il costo, a volte c’erano alcuni che non rispettavano il patto e ci cacciavano con i fucili dicendo: “Vai via da qua altrimenti ti ammazzo”».
«Io sono Toure Aziz Kader, nato in Costa d’Avorio, precisamente a Daloa, la terza città più grande del mio Paese. Sono partito dal mio Paese e poi ho attraversato il Burkina Faso, passando per il Niger fino alla Libia. Abbiamo impiegato 7 giorni nel deserto del Sahara. In Libia sono rimasto circa 8 mesi, poi da lì sono arrivati in Italia, sbarcando ad Augusta».
«Quando sono partito i miei genitori non sapevano nulla, perché io avevo detto loro che andavo a fare un provino in un altro paese della Costa d’Avorio, poi non mi hanno più sentito e si erano preoccupati. Una volta arrivato in Libia li ho chiamati: “State tranquilli, non ero andato a fare un provino ma sto cercando di andare a realizzare il mio sogno”».
IL SUO SOGNO
«Volevo venire in Italia per la mia famiglia e per avere un futuro migliore. Vorrei tanto realizzare il mio sogno: il primo piccolo sogno è esordire nella prima squadra e poi, chissà, sperare di arrivare in Champions League, giocare la finale e magari vincerla pure. Io non avevo intenzione di rimanere in Italia perché la mia destinazione era in Francia, ma grazia a quella famiglia ho deciso di rimanere qui e realizzare il mio sogno. Non ho avuto dubbi di restare a Palermo quando si è presentata l’opportunità».
«Non è stato facile arrivare da un altro paese, anche quando c’è da imparare una nuova cultura. Voglio ringraziare il mio paese, i balestratesi, soprattutto la mia famiglia Calagna-Monticciolo che mi hanno accolto come un loro figlio. Le mie sorelle mi hanno aiutato tantissimo anche per imparare la lingua prima di andare a scuola, e i professori pure mi hanno aiutato parecchio in due anni».
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