Incombono tanti spettri in quel di Catania: quello innominabile, che ha la piaga dei tanti e troppi debiti, che devono essere ricolmati in ogni modo possibile ed immaginabile, anche con l’aiuto dei tifosi, a cui di recente si è chiesto di contribuire.
Tanti i nodi che vengono ora al pettine e che il presidente SIGI, in conferenza stampa, ha tentato di sciogliere, quello soprattutto che ha un nome e cognome, Joe Tacopina:
“La verità è che il 14 marzo è stato stipulato il contratto che avrebbe previsto l’acquisizione del 15% delle quote da parte di Tacopina. E la verità è che il 14 marzo Tacopina avrebbe versato un milione di euro. La verità è che il 23 marzo la banca del Fucino mi ha chiesto la restituzione del bonifico di euro 100 mila. Non c’è stata nessuna regalia, ma solo un inadempimento contrattuale del signor Joseph Tacopina. La verità è che chi ha versato solo 600 mila euro, voleva prendersi tutto il Catania. Il sogno americano era solo un’illusione“.
Ferraù ribatte: “Chi era Tacopina? Faceva parte di un’aggregazione di investitori di Wall Street o direttamente da lui”.
Ritornando al presente: “Dobbiamo fare tutto il possibile per iscrivere la squadra al campionato. Sigi si è già impegnata di versare una cifra importante. Mancano all’appello 800 mila euro. Iscrivere la squadra permetterà di allontanare gli avvoltoi e dall’indomani di trovare investitori in tutto il mondo, poiché a Catania non ne troviamo. Vogliamo un investitore da 15 milioni di euro”.
Su ciò che verrà dopo l’iscrizione aggiunge: “Io non vedo una preoccupazione per il dopo-iscrizione. Non possono mancare alcune certezze come gli sponsor e la campagna abbonamenti. Vogliamo rendere il Catania appetibile. Purtroppo, ci siamo incastrati in una trattativa fatta di esclusività, che ci ha costretto a non cercare investitori in tutto il mondo”.
Sui soldi richiesti: “Gli 800 mila euro sono sufficienti non solo per iscrivere la squadra al campionato, ma anche per garantire il prosieguo della stagione”.
Ipotesi crowfunding: “Non era possibile aprire un crowdfunding, perché eravamo in cerca di investitori e questi non potevano rapportarsi certo a decine di migliaia di azionisti. Non potevamo neppure fare una pre-campagna abbonamenti, perché avremmo promesso qualcosa di incerto e non sarebbe stato giusto”.
Sulle difficoltà SIGI: “Chi fa impresa sa che il rischio è possibile. Il fallimento è un rischio minimo, però c’è. Se Catania dovesse rispondere assente, il rischio sarebbe comunque minimo. Sulla nostra credibilità, possiamo solo dire di avere messo tutti assieme ben 6 milioni di euro. Oggi Sigi ha solo difficoltà a fare fronte ad ulteriori 2,3 milioni e non c’è nessuna vergogna a dirlo”.
Sui bonifici e l’adesione: “I bonifici sono stati fatti ma, come sapete, non sono sempre leggibili. C’è stata già una risposta importante: contiamo di mettere il numero dei nostri sottoscrittori, non tanto la cifra raccolta. Sappiamo di potere contare sui tifosi storici. Non abbiamo un tetto minimo-massimo di capitale da sottoscrivere. L’ideale sarebbe raggiungere quei 2,3 milioni ma non c’è un tetto minimo”.
L’appello non manca inoltre: “Dimostriamo che quei 12 mila dell’Olimpico ci sono anche oggi“.
E ribadisce sempre sullo spettro fallimento: “La Covisoc non ha fatto alcun rilievo che oggi possa farci preoccupare.Sono stati momenti duri, difficili e complicati. Normale, ci sta che i tifosi possano avere dissenso: abbiamo sempre sostenuto il diritto di critica. Ma andiamo avanti e, adesso, tutti assieme. Siamo propositivi”.
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