“Il Bacio” è un film che si eleva ad esperienza. È come accarezzare la propria pelle con una lama. Non appena abbassi la guardia, la lama penetra la tua pelle, riportandoti nel momento in cui hai amato a crepapelle.
“IL BACIO”
“Il Bacio” di Pietro Graffeo, scritto in sinergia con Noemi Cucinella, è un miracolo d’esordio. È un film nato dalla cassa comune di una ventina di giovani sognatori, tra cui Giuseppe Nasca e Stefano Scaglione, che si riuniscono nel nome del cinema e che restituiscono al cinema una propria visione, netta e chiara, di cosa significa confronto.
Cos’è un bacio, se non l’inizio di una storia. Cos’è l’inizio, se non il motivo di una fine?
Il film racconta l’evoluzione di un amore, un amore folle, intriso di passione, di dubbi, di poesia. Pietro sfrutta il lowbudget per sfruttare una tecnica cinematografica innovativa: la macchina da presa incastra i due amanti in un rettangolo che si alterna tra il 4:3 ed il 21:9, scandendo il loro amore a ritmo di percussioni, sintetizzatori ed effetti sonori. Questi, stagliati all’orizzonte della narrazione, dipingono la vuota stanza di Federico Mosca e Federica Gurrieri. I due attori, “a volte” vestiti da Silvia Martinez e Serena Trifirò, riescono a riempire il vuoto di questa camera grazie alla loro capacità interpretativa.
Sono riusciti ad abbandonarsi alla regia di un esordiente, hanno realizzato uno di quei piccoli miracoli che solo la bellezza dell’adolescenza e il fascino della speranza possono compiere. Il loro amore è paragonato al ciclo di un alberello, nato dal seme di un bacio, morto dal desiderio di una fuga. Pietro chiede ai suoi personaggi di sfuggire dalla stanza del loro amore, di sfondare le pareti di uno spazio pieno che è diventato di nuovo vuoto. Il loro amore ha ormai esaurito i nutrienti del terreno su cui è nato, e ne ha svuotato la sua essenza. “Il bacio” ritrae quei folli amori senza tempo dove l’uno diviene parte dell’altro. Nel pentolone in cui Pietro ha voluto cuocere il suo Bacio, sono presenti i grandi maestri del cinema.
LE ISPIRAZIONI
Lars Von Trier si palesa come ingrediente principale della ricetta cinematografica: per la suddivisione in capitoli e la relativa illustrazione animata, oltre che per la scenografia dogvilliana.
Eraserhead di David Lynch viene fuori a piccoli pezzi, come la manciata di sale a fine cottura, mentre l’amante dondola il bambino che poi si scopre essere un coniglio. La scelta del frame monocromato, alternato tra rosso e blu, cerca di solleticare l’estetica di Noè in “Love”, e riesce a chiarire l’intreccio narrativo del Bacio. Il finale del film sorprende, perché Graffeo mette il piede sull’acceleratore con la delicatezza di un giovane
compositore: la macchina da presa inizia a dondolare tra i due protagonisti, rendendo lo scambio delle ultime battute un dolce e schopenauriano pendolare. Sul finale senti la malinconia di una storia d’amore a cui ti sei caldamente affezionato, perché già parte del tuo passato. Ciò che rimane, oltre tutte queste note, è la sorprendente capacità dei due protagonisti nell’ “Intermezzo”.
Il montaggio alternato snatura la splendida performance dei due ragazzi, ma premia il ritmo del film, che grazie alla capacità di questi due talenti, acquisisce una profondità ulteriore. “Il Bacio” ha già superato diverse selezioni ai festival e vinto il premio “Onirica Award” per l’“Onirica Film Festival” di La Spezia. Presto sarà disponibile alla visione di tutti: chi ama il cinema, e chi pensa di amarlo.
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