Il calcio italiano ad un passo dal crack: spende più di quanto incassa
La pandemia ha fatto esplodere un sistema che, con sempre minori fonti d’incasso, si reggeva su plusvalenze e diritti tv. Gli stadi restano vuoti, ma i presidenti di A litigano e si trovano di nuovo senza un vertice di lega.
Questo il titolo dell’inchiesta di Repubblica, oggi in edicola.
Lo speciale calcistico, a cura di Carlo Bonini, Matteo Pinci, Franco Vanni e Laura Pertici, tratta di uno degli argomenti che più stanno prendendo la scena nel panorama calcistico italiano: la confusione ai vertici di Lega e la richiesta di sostegni dal governo. Il 16 febbraio infatti i club di tutta Italia dovranno pagare quanto sospeso in questi due anni di pandemia. Si parla di versamenti Irpef, di stipendi e di relativi contributi. Il tutto in una situazione in cui gli stadi aprono, chiudono, riaprono a metà e in ogni caso non sono più popolati come un tempo.
I club oggi hanno due fonti principali di ricavo: i diritti televisivi e le plusvalenze. Le seconde, nel 2020, hanno toccato quota 738 milioni di euro. Quando però avvengono i cosiddetti “rigonfiamenti delle plusvalenze”, ecco che allora partono le inchieste giudiziarie, anche per le società più blasonate. Sono gli stessi club che hanno ricapitalizzato più nell’ultimo periodo, come la Juventus che ha immesso 400 milioni freschi, o l’Inter che ne ha aggiunti 75. Tutti nel post-pandemia, per un totale di oltre un miliardo di euro. Ma non saranno sufficienti, in una stagione in cui si sono spesi 2 miliardi e se ne sono incassati appena 250 milioni.
La seconda voce di ricavo, ossia i diritti tv, quest’anno ha visto una diminuzione di 100 milioni, per via della perdita del mercato mediorientale. L’exploit delle piattaforme online non ha fatto altro che ridurre anche la fetta di torta di Auditel che veniva spartita fra tutti i club fino a qualche tempo fa. Ed è proprio per tali ragioni che la Serie A starebbe pensando, a partire dal 2024, di produrre e distribuire le immagini del campionato autonomamente. Ma sarebbe, ancora una volta, una goccia nell’oceano.
Una soluzione inventata per riuscire a pagare gli oneri in vista per la scadenza del 16 febbraio è stata quella di richiedere in anticipo i soldi del cosiddetto “paracadute” in caso di retrocessione. Ma a farlo sono state diverse squadre, fra le quali anche qualcuna che con ogni probabilità in B non ci giocherà, nella prossima annata. Il motivo è da ricercare nell’esigenza di avere liquidità immediata: se comunque la retrocessione non avverrà, questi stessi soldi verranno scalati dai diritti televisivi della Serie A dell’anno prossimo. Un’altra toppa, ma in un buco che si allarga ogni minuto a dismisura.
Altro problema è quello degli stadi. Uno studio della società di consulenza Pwc ha dimostrato come, a cavallo tra la stagione 2019-2020 e la successiva, i club abbiano perso 302 milioni di euro di incassi dagli ingressi dei tifosi. E proprio per questo il governo avrebbe promesso la riapertura degli stadi al 100% a partire dal prossimo marzo.
Ma la questione più spinosa è quella politica. All’inizio della pandemia, il presidente della Lega Serie A Paolo Dal Pino si è riunito attorno ad un tavolo con i massimi dirigenti delle più importanti squadre italiane. La proposta era quella della formazione di una Media Company, che avrebbe dovuto ripartire maggiori diritti televisivi, oltre a far entrare nel sistema alcuni fondi di investimento di rilevanza primaria. I club accettano: sembra pronto un rinascimento per il calcio italiano, dalle ceneri dei soldi persi dalla pandemia. Se non fosse che, qualche mese dopo, viene fuori un’altra proposta, ben più allettante per le big del pallone: la Superlega. Ed è per il fallimento del progetto Media Company che Paolo Dal Pino si è dimesso recentemente, sebbene la ragione ufficiale sia legata a motivi personali e professionali.
Ed il prossimo bersaglio dei club di Serie A potrebbe essere il vertice assoluto: Gabriele Gravina. Il presidente della Federcalcio avrebbe infatti già un’intesa di massima con Aleksandar Ceferin per ospitare gli europei del 2032 proprio in Italia. Ma le società di A non ci stanno, e vorrebbero essere loro i principali interlocutori della politica, senza intermediari di sorta. Se poi gli Azzurri non dovessero staccare il pass per Qatar 2022, ecco che allora vi sarebbe anche un pretesto apparecchiato.
Un ultimo protagonista di questa tragedia è la Uefa. La pandemia ha velocizzato il processo di modifica del Financial Fair Play, che era già stato messo ampiamente in discussione. A partire dal 2024, più che al pareggio di bilancio, si guarderà alla sostenibilità del sistema. Tradotto: una “penale” in più da pagare per chi spende troppo. Il ricavato poi sarà ripartito fra gli altri club “virtuosi”. Anche la Federcalcio italiana progetta qualcosa di simile, ma basata sull’indice di liquidità. In sostanza, il rapporto tra spesa e incassi. Dall’anno prossimo la forbice non dovrà essere più ampia di quella della stagione precedente, altrimenti si rischia l’iscrizione al campionato.
Il problema procuratori è quello che viene menzionato più spesso. In effetti le commissioni degli agenti dei giocatori si sono innalzate parecchio negli ultimi anni. L’obiettivo della UEFA è ora quello di fissare un tetto alle commissioni, probabilmente al 10%, come accade già in Francia. Peraltro, si pensa ad un meccanismo di intermediari proprio con la finalità di contenere tali compensi, senza lasciare la trattativa esclusivamente in mano ai club e ai procuratori. Il tutto è subordinato al fatto che questi ultimi non si rivolgano alla Corte di Giustizia europea, perché in caso contrario la questione potrebbe dover attendere anni prima di essere risolta.
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