MILANO – Il calcio si divide da sempre in due grandi universi: da una parte chi punta sempre e solo al risultato, dall’altra invece chi gioca per il gusto di giocare, in nome dell’antico manifesto rioplatense in cui il pallone si fondava sulla creatività individuale e sulla palla a terra, regole fisse contro la disciplina e l’ordine razionale a tutti i costi. Sebbene brasiliano e non argentino, Ronaldo de Assis Moreira detto Ronaldinho, classe 1980, rimane ad oggi forse la sintesi più totale e efficace di questo modo di vedere il gioco del calcio, una filosofia di vita che in tempi avari di poesia per il mondo del pallone – tra soldi, contratti sauditi e VAR – si allontana sempre di più. Per chi ha nostalgia di un mondo – e di quel mondo – una visione imperdibile da fare è L’uomo più felice del mondo, il documentario girato da Andrew Douglas e Stuart Douglas su Ronaldinho e ora in streaming (gratis) su FIFA +.
Un racconto fatto da vicino, che comincia su una spiaggia, al tramonto, con la voce fuori campo di Ronaldinho che parla di saudade, di nostalgia per il campo e per quei giorni di gloria. Da lì si comincia un percorso a ritroso e ci si ritrova nel bairro Vila Nova di Porto Alegre con il piccolo Ronaldo, terzo figlio di Dona Miguelina e João de Assis Moreira, operaio in un cantiere navale ed ex calciatore del Cruzeiro che morirà di infarto quando Ronaldinho ha solo otto anni. Un evento che torna spesso ne L’uomo più felice del mondo, un’ombra su un sorriso che lo accompagna fino alla svolta nel calcio professionistico e il viaggio in Europa, al Barcellona, dove diventerà un dio del calcio e insegnerà molte cose a un ragazzino emergente destinato a diventare un altro dio: Lionel Messi.
Colonna sonora firmata da Jake Bugg – il cantautore inglese, sempre notevole – per una vicenda che in più di un passaggio è talmente reale e epica da sembrare finzione, invece è solo realtà, con quel pallone che diventa strumento per far impazzire i tifosi, perché qui conta la giocata, conta la meraviglia, conta la risata alla fine del dribbling e la gente a bocca aperta. Come al circo. Come al cinema. «Dinho? Era un genio e non solo in campo, ma il giorno in cui non si sentiva felice, beh, allora non giocava bene, non ci riusciva proprio», ricorda Eto’o, suo compagno nel Barcellona. La felicità e il pallone, la giocata e la gente, la ginga e la saudade, la vita che entra dentro il campo perché il campo è (anche) la vita. Non puoi fingere. Fatevi un regalo e scopritelo.
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