Torretta Cafè, Pastore: “Per il Palermo ci sarò sempre. Ricordo Roma rosanero”
Debutta stasera Torretta Café, il nuovo talk show del Palermo FC, condotto dalla giornalista sportiva Sarah Castellana. A inaugurare la serie è uno degli ex giocatori più amati della storia rosanero: Javier Pastore. In un’intervista esclusiva, il “Flaco” ha parlato del suo legame speciale con Palermo, definendo la città come la sua “porta per l’Europa e per la Nazionale argentina”.
Torretta Cafè, le parole di Pastore
A NEW YORK CON IL PALERMO – Un’esperienza meravigliosa, non me lo sarei mai aspettato di fare questa pubblicità della maglia a New York. E’ stato bellissimo, abbiamo vissuto dei giorni che ci hanno portato tantissimi ricordi di Palermo. Palermo è stata la mia porta per l’Europa e per la Nazionale argentina. Per questo Club io ci sarò sempre.
NUMERO DI MAGLIA – In Huracan ho giocato con la 16, è andata benissimo. A Palermo questo numero era occupato, c’erano poche maglie disponibili. Mi hanno proposto la numero 6 e ho accettato. Indossata non mi stava bene, giocavo in zona offensiva con la 6. L’anno dopo ho scelto il 27 perché era il numero preferito di mia mamma. Solo una volta a Parigi ho indossato la maglia numero 10 per un anno.
FINALE COPPA ITALIA – Tanti ricordi, abbiamo giocato contro squadre come Roma e Milan. Abbiamo eliminato squadre forti. Non ho mai rivisto la finale contro l’Inter però resta il ricordo, tutta la mia famiglia è venuta a vedere questa partita. Quei tre giorni a Roma tutte le piazze erano rosanero. Non lo so quante persone sono rimaste fuori dallo stadio, forse 10- 20 mila persone. Il risultato conta sempre, ma il percorso che abbiamo fatto in Coppa Italia è stato bellissimo. Le emozioni delle persone non le leva nessuno, quell’anno è sato magico. Potevamo vincere o meno, ma il percorso è stato pazzesco.
INTERESSE SQUADRE OLTRE AL PSG – Il Chelsea era una, è sempre stata una possibilità. In Italia c’erano il Milan e l’Inter, io volevo più andare al Milan. Avevamo parlato con il Milan, il mio idolo era Kaká… mi piaceva un sacco il suo modo di giocare e il suo modo di essere. Mi ispiravo tanto a lui. Per me era un sogno andare lì e giocare con lui ma lui andò al Real Madrid. Il Paris Saint Germain in quel momento poteva spendere di più, allora per il Palermo era anche più simbolico cedermi a loro piuttosto che ad un’altra squadra. Alla fine decido di andare al PSG per un sogno che ho fatto mentre ero in vacanza con Chiara. Eravamo a Punta Cana, abbiamo trascorso due settimane lì tra chiamate di direttori sportivi e presidenti. Una sera ho sognato che camminavo con Chiara sotto la Torre Eiffel. Appena svegliato ho chiamato subito il mio agente per comunicargli la mia decisione. Lui mi propose di aspettare il Chelsea ma io sentivo di dover andare al PSG.
LA VITA A PALERMO – Arrivare a Palermo è stato come continuare a giocare a casa mia. Salvatore Sirigu è stato importantissimo nel mio percorso qui a Palermo. E’ un grande amico, mi ha aiutato tantissimo. Andavamo al cinema insieme, mi portava a mangiare fuori. Facevamo tante cose qua, mi piaceva giocare al bowling ma durante la giornata non potevo andare. Allora i proprietari mi facevano venire a mezzanotte e mi lasciavano tutto il bowling aperto. Mi davano le chiavi, passavo due ore con tutti i miei amici a giocare. Avevo amici che giocavano a calcetto quasi tutte le sere, io andavo a vederli e portavo le scarpe da calcio. Alla fine giocavo sempre, al secondo anno a Palermo giocavamo anche in Europa League ed era più complicato. Allora andavo a vedere giocare i miei amici con le ciabatte e non con le scarpe da calcio. Arrivavo lì con Chiara, i miei amici cominciavano a chiedermi di giocare. Alla fine era peggio perché giocavo scalzo. La scusa era portare le ciabatte, tante volte dopo o prima il calcetto andavamo a mangiare insieme. Io già andavo con le ciabatte, Chiara diceva che non potevo presentarmi al ristorante così. Io le spiegavo che andavo così altrimenti mi convincevano a giocare a calcio. Alla fine sono uscito con lei tante volte in ciabatte, tutti si chiedevano il motivo. In qualche modo comunque riuscivo a giocare lo stesso. Oggi è molto più difficile, si giocano molte più partite. Primo anno a Palermo giocavamo solo campionato e Coppa Italia. All’inizio solo una partita a settimana, la voglia di giocare a calcio c’era sempre.
Torretta Cafè, le parole di Pastore
DESTINAZIONI – Ho sempre scelto io dove andare, il mio percorso professionale fino al 2° anno di Roma è stato molto bello con più cose positive che negative. Ultimi due anni a Roma non sono stati quelli che avrei voluto a livello professionale, ma non perché non ho voluto ma perché il fisico non mi ha accompagnato. Mi faceva tanto male arrivare a Trigoria e non poter dare quello che potevo dare. Quella è stata la frustrazione più grande provata nel mondo del calcio, mi sentivo proprio male. Se torno indietro rifarei le stesse scelte. A Roma professionalmente non è andata bene, però come ho vissuto a Roma non ho vissuto in altri posti. Ho fatto amicizie, ho vissuto tre anni magnifici fuori dal calcio, nel calcio ho avuto un problema all’anca che è stato durissimo da affrontare. Alla fine quello mi ha fatto smettere di giocare a calcio. Sono cose che succedono ma avrei voluto fare molti di più perché mi sentivo veramente che potevo fare tante cose belle a Roma. C’era una squadra importante, però il corpo quando dice basta dice basta. Non l’ho voluto sentir in quel momento perché la passione e la voglia di giocare a calcio era così grande che ci ho provato in tutti i modi a continuare a giocare.
FUTURO – Non gioco più a calcio da un anno e sette mesi. Mi sono operato 8 mesi fa, adesso sto benissimo non ho più dolori però ho perso tanto tempo. Non ho continuato ad allenarmi in un modo professionale. Ogni anno il calcio cambia tantissimo. Oggi è più importante il fisico, i giocatori sono atleti. Non ho in testa di tornare in campo, penso che prima di giugno 2025 annuncerò ufficialmente il mio ritiro dal calcio giocato, ma sto studiando per restare in questo mondo che amo.
Torretta Cafè, le parole di Pastore
COSA MI HA DATO E COSA MI HA TOLTO – Il calcio mi ha dato una vita che senza il calcio non avrei mai potuto vivere. Ho conosciuto culture diverse, ho viaggiato tanto e conosciuto posti. Il calcio mi ha regalato tanta gioia perché alla fine è un lavoro ma è anche uno sport che si fa con passione, con gioia e con divertimento. Mi ha dato tantissime cose, la possibilità di aiutare la mia famiglia e di aiutare tanti amici e tante persone che mi sono state a fianco. Per me i soldi non sono la cosa più importante però alla gente servono per vivere meglio. Il calcio mi ha dato questa possibilità di poter aiutare gli altri, la mia famiglia e di potergli fare conoscere un mondo che senza di me avrebbero potuto conoscerci. Il calcio ti toglie tante cose, ti toglie tanto tempo. Con la mia famiglia argentina e con i miei amici avrò vissuto circa 3-4 mesi in questi 15 anni. Oggi ci penso, quando torno in Argentina vedo amici che hanno tre figli e io non ho vissuto neanche un loro compleanno. Ho cugini che hanno figli e non li conosco ancora. Ti toglie quello, mi ha tolto momenti con mia moglie e momenti importanti dei miei figli. La mia prima figlia Martina è nata un giorno prima di partire in Nazionale, poi per un mese non sarei tornato a casa. Sono cose importanti della vita, quando giochi a calcio è come se tutto è secondario e tutto viene dopo. L’ego di un calciatore ti fa pensare che il resto è meno importante ma non è così anzi è dieci volte più importante un figlio che una partita di calcio. Il mondo ti porta a pensare diversamente, il calcio ti porta a pensare che la partita è tutto. Negli ultimi mesi in cui ho giocato a calcio in Qatar ci allenavamo la sera per il caldo. Ogni mattina portavo Martina a scuola e la riprendevo per poi portarla a fare equitazione. Dopo un paio di settimane mi chiese perché per i primi anni della sua vita non l’avevo accompagnata mai a scuola e perché adesso la volessi bene mentre prima no. Le dissi che quando prima lei entrava a scuola io ero già al campo ad allenarmi. Quando fai questo mestiere hai uno stipendio, devi rispettare l’impegno e per esempio non puoi dire che non vai a una partita perché tua figlia ha la febbre. Quando fai il calciatore hai una responsabilità ed è difficile dire di no. Nell’ultimo periodo sentivo dolore, sentivo che mi sarei potuto infortunare. L’allenatore mi diceva di riposare, io volevo giocare però. Io la partita non me la volevo perdere. La dinamica del calcio ti porta a essere così, però tante volte sarebbe stato meglio gestire alcuni aspetti in maniera differente.
RIMPIANTI – No, ho giocato a calcio e mi sono divertito. Penso che ho raccolto di più di quello che potevo immaginare da piccolo. Non ho rimpianti perché alla fine ho sempre saputo che la vita del calciatore è corta. Ho sempre saputo che avrei potuto giocare da 10 a 15 anni. Dopo torni a essere una persona normale. Quando fai il calciatore ti sembra di essere un supereroe indossando una maglia. Io ho vissuto in maniera normale, facendo amicizia con le persone della scuola o quelle del panificio e ancora oggi queste persone sono al mio fianco. Se non fai questo tipo di amicizie mente giochi a calcio quando tu smetti alcuni potrebbero dimenticarsi di te. La vita continua, quelli che stanno al fianco di un calciatore perché è famoso e guadagna quando il calciatore non gioca più cercano altri con cui fare amicizia.
PASTORE DA GRANDE – Ancora non lo so, sono nel momento in cui mi piacerebbe restare nel calcio perché lo amo e mi piacerebbe tanto aiutare i bambini a crescere e a formarsi. E’ qualcosa che mi interessa fare, mi sto preparando. Sto facendo un corso di management con la FIFA, è molto interessante perché mi dà la possibilità di conoscere le persone che lavorano in diversi ambiti dei Club. Mi sto riempiendo di informazioni per capire veramente in che momento mi senta pronto per fare qualcosa nel calcio. Farò anche il corso di direttore sportivo, però per il momento non ho deciso bene che strada prendere nel mondo del calcio. Mi sto preparando per decidere nei prossimi anni.
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