
Palermo, è tempo di leccarsi le ferite
Le sfide contro Sampdoria e Cremonese dovevano essere il banco di prova decisivo per capire le reali ambizioni dei rosanero. A Genova, nonostante l’uomo in più, la squadra non è riuscita a sfondare, accontentandosi di un pareggio che ha lasciato più rimpianti che soddisfazione. Poi è arrivata la sfida del Barbera contro la Cremonese, un autentico psicodramma sul quale è inutile tornare.
Insomma, il Palermo ha fallito entrambe le prove, rivelando tutte le sue fragilità, tanto che la dirigenza aveva ormai deciso di cambiare la guida tecnica, prima dell’indecifrabile retromarcia che ancora alimenta polemiche e discussioni. Restano adesso otto partite da giocare, ma non quali obiettivi?
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Se è pur vero che il sesto posto, a quattro punti di distanza, è ancora un obiettivo possibile, non si può non constatare come le trasferte di Bari, Catanzaro e Cesena lo rendano, se non impossibile, molto complesso. Traguardo che, anche se raggiunto, rappresenterebbe comunque un fallimento rispetto all’obiettivo dichiarato di inizio stagione: migliorare il piazzamento dello scorso campionato, ovvero la sesta piazza.
L’ambiente sfiduciato è un fattore che incrementa le difficoltà: dalla tifoseria delusa, alla proprietà che reclama per gli ingenti investimenti senza ritorno, a una guida tecnica ormai priva di autorevolezza, fino a una dirigenza che ha davanti a sé il fallimento tecnico di un intero triennio. E non dimentichiamo chiaramente la squadra, con le gravi responsabilità di non aver messo a frutto un curriculum di tutto rispetto.
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Serve quindi innanzitutto ricostruire i cocci di un progetto andato in frantumi, mettendo in campo quell’orgoglio e quella determinazione visti solo a sprazzi in questi tre anni. Il Palermo deve dimostrare di esserci ancora. Lo deve ai suoi tifosi e a una proprietà che non ha lesinato risorse perché, come affermava lo statunitense George Edward Woodberry: “La sconfitta non è il peggior fallimento. Il vero fallimento è non averci provato”.
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