‘’Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada lì ricomincia la storia del calcio’’.
Jorge Luis Borges è stato uno scrittore, poeta, saggista, traduttore e accademico argentino, ritenuto uno dei più importanti e influenti scrittori del XX secolo. Le opere di Borges hanno contribuito alla letteratura filosofica e al genere fantasy. Oggi il termine «borgesiano» indirizza ad una concezione della vita come storia, come menzogna, come un’opera contraffatta spacciata per veritiera…come reinvenzione della realtà.
Il calcio è parte della cultura di una società, di una nazione, e questo permea a livello storico, in tante situazioni politiche e letterarie. Una realtà che si crea dentro un focolare arso di emozioni e di paure.
Oggi raccontiamo una storia, un po’ fuori dai soliti schemi. La storia di una coesione, una sintonia, mai raggiunta: Borges e il calcio. Molte sono le critiche, le invettive che lo scrittore premio nobel pronunciò verso il calcio. Celebre, tra tutte:
«Il calcio è popolare perché la stupidità è popolare».
Stiamo attenti però. L’attacco dell’accademico argentino non era rivolto direttamente al calcio. Borges ce l’aveva più che altro con la ‘’cultura del tifoso’’, alla sua fede cieca molto simile al sostegno popolare, sostegno che appoggiò i leader dei movimenti politici più raccapriccianti del Ventesimo Secolo. A causa di questo suo pensiero, una volta scrisse:
«C’è un’idea di supremazia, di potere, nel calcio, che appare orribile ai miei occhi»
Per Borges, infatti, il gioco del calcio crea inevitabilmente un legame con il nazionalismo: quel nazionalismo che da’ la possibilità ai governi di utilizzare una figura idealizzata, un ‘’campione’’, come simbolo per legittimare se stessi. Le squadre nazionali, per lui, non generano altro che ‘’fervore’’ nazionalistico. Sono gli anni ’70, la dittatura brasiliana realizza una gigantografia di Pelé in cui calcia in favor di camera, accompagnato dallo slogan ‘’Ninguém mais segura este pais’’ – Nessuno può fermare questo Paese ora – Era il chiaro tentativo del governo di sfruttare l’immagine di un grande campione per legittimarsi, rafforzare l’identità nazionale e raccogliere il sostegno popolare. Per Borges, che nella sua vita aveva vissuto fascismo, peronismo e antisemitismo, fu immediato il sospetto verso ogni movimento popolare di massa. Il calcio rappresentava il culmine di questo.
E’ e resterà un mistero: nessuno è mai riuscito a dare una spiegazione soddisfacente al perché il calcio sia, differentemente da altri sport, un fenomeno popolare e sociale, una macchina di passioni ed emozioni, di aggregamento e di intrattenimento mondiale.
Borges però si avvicinò a dare una risposta: gli esseri umani, secondo lui, sentono il bisogno di appartenere ad un piano universale, qualcosa di più grande di loro. Per alcuni la religione placa questo bisogno, per gli altri c’è il calcio. Una linea di pensiero che ben si sposa con i protagonisti delle opere del corpus borgesiano: spesso alle prese con eccessivi ‘’bisogni’’, capaci di sposare ideologie o movimenti dagli effetti disastrosi.
«Sono cieco e ignorante, ma intuisco
che sono molte le strade».
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