Sono ormai 7-8 mesi che Filippi guida il Palermo e il viaggio, per ora, non è andato poi così male. Anche se, bisogna dirlo, delle difficoltà ci sono state (come è normale che fosse) e la dimensione della meta, sarà poi l’unica cosa che davvero conterà. Questa volta, nel bene o nel male, è lui però il comandante assoluto, senza essere un traghettatore in corso d’opera. Solo il tempo ci potrà dire se questo aspetto rappresenterà un vantaggio.
Per ora, le prime onde di un mare che sarà mosso tutto l’anno, hanno fatto perdere un po’ il controllo. Ma sono soltanto quelle iniziali, di un percorso che sarà duro, nauseabondo. Non date però saccheti per il vomito a Giacomo Filippi, l’uomo che incarna la tranquillità e che possiede una sana convinzione (a volte anche troppa, come quando carica fino alle stelle Brunori). Può tremare il mondo, possono volare critiche da ogni angolo della città, ma lui in quella consueta conferenza stampa del venerdi o del sabato pomeriggio, sfodera la sua straordinaria calma, il suo “rilassante” ottimismo.
In fondo, per essere allenatore del Palermo, ci vuole anche questo. E’ vero che certuni, proprio non possono allenare, ancor meno in Serie C, dove ci si arrabbia da morire praticamente per ogni “viaggio” del pallone. Messina-Palermo è stata una delle partite più brutte che forse mai la Serie C proporrà, eppure Filippi era lì soddisfatto del pareggio e tranquillo per il proseguo del campionato. Poi è arrivata la sconfitta di Taranto, una doccia fredda, peraltro meritata. Dove non c’era filtro a centrocampo, dove l’equilibrio era una parola sconosciuta e dove l’attacco, era un mucchio “arrogante” di giocate individuali.
Poi il pareggio di Catanzaro (che ci sta tutto) dove è arrivata anche una buona prestazione. Filippi sempre calmo, con le sue solite spiegazioni al gusto di “Valeriana”. Adesso, cosa aspettarsi? E’ un punto di rottura del campionato, dove persino la serenità in carne ed ossa potrebbe sciogliersi. Adesso, potrebbero cominciare davvero i problemi, da Monterosi. E quindi, scherzi a parte, non è più il tempo della tranquillità. E’ il tempo di punti, di vittoria, di fame. Altrimenti c’è poco o nulla per cui essere convinti. L’atteggiamento di Filippi piace, ha un certo fascino, degno di una certa attenzione e “coniuge” del gusto più estetizzante, a differenza del suo gioco, mai eccezionale (anche se efficace). Insomma tra il suo “far tranquillo” e la verità del campo, agli antipodi (quasi uno scenario ossimorico), esiste un punto di contatto: la vittoria. Ed è il momento di cominciare a prenderne qualcuna.
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