“Mio padre è morto e in Gambia non è facile. Se diventerò un grande calciatore potrò risolvere tutti i problemi della mia famiglia.
Vorrei diventare forte come Koulibaly anche se i miei ex compagni in Gambia dicono che somiglio a Van Dijk del Liverpool”.
La partita più importante che sta giocando Bubacarr Marong è contro la povertà, soprattutto dopo la morte del padre Lamin.
Inizia così un’intervista molto interessante realizzata da Valerio Tripi su Repubblica oggi in edicola, con il difensore nato nel Gambia che racconta la sua odissea, il passaggio dalla Libia e l’arrivo in Italia; le difficoltà di tesseramento per via della mancanza di documenti e poi la chiamata del Palermo.
Vi riportiamo alcuni passaggi dell’intervista integrale che potete trovare su Repubblica oggi in edicola:
“Non so fare altro che giocare a calcio. Avevo sei anni quando ho iniziato in Gambia giocando per strada .. La strada per arrivare qui è molto difficile. Tutto parte in Libia, in quei campi succede di tutto. Io ho evitato il campo perché appena sono arrivato in Libia ho trovato subito un lavoro. Non avevo tutti i soldi che mi servivano per il viaggio e dovevo trovarli in fretta. Ho lavorato tre mesi in uno stabilimento della Pepsi.
Il viaggio mi è costato 30 mila Dinar (19.400 euro circa)..Non è stato bello. Però il nostro barcone è rimasto a galla. Siamo arrivati a Trapani e ci hanno portato vicino Carini all’ex Hotel Azzolini ..A Carini con gli altri ragazzi del centro giocavamo a calcio. Mi ha visto Totò Tedesco e gli ho chiesto di trovarmi una squadra..ho incontrato Paolo Calafiore, l’allenatore della Parmonval … Se continuo a vivere il mio sogno è grazie a loro..
Parlo spesso con mia madre e mio fratello. Non penso di tornare in Gambia, vorrei che loro fossero qui con me. Sono partito perché siamo poveri. La vita in Gambia non è male, ma mio padre è morto e fa tutto mia madre, paga la scuola dei miei fratelli e di mia sorella.. Il mio vicino di casa è Roberto Crivello, se ho bisogno di qualcosa lui c’è sempre..Anche i magazzinieri mi vogliono bene, anche se non capisco tutto quello che dicono, soprattutto quando parlano in palermitano».
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