L’aria del cambiamento e di una vera e propria rivoluzione arriva proprio dalla Scozia: i bambini sotto i 12 anni non potranno più colpire un pallone di testa.
La decisione è stata presa dalla Scottish Football Federation in seguito alle ricerche effettuate da uno studio dell’Università di Glasgow, finanziata dalla Football Association e dalla Professional Footballers’ Association, che su un campione di 7.676 ex giocatori scozzesi, nati tra il 1900 ed il 1976, ha dimostrato che in loro ci fosse una probabilità 3,5 volte maggiore di morire di malattie neuro-degenerative rispetto alla media.
Tra i calciatori, la possibilità di morire in stato di demenza era del 11%, mentre per il resto della popolazione la percentuale è del 3%.
E’ la prima volta che una svolta del genere avviene in Europa, e l’accelerata decisiva è avvenuta in seguito alla morte di Jeff Astle, stella del West Bromwich a cavallo tra gli anni ‘60 e gli anni ‘70, scomparso nel 2002 a causa di una encefalopatia traumatica cronica.
Astle era famoso per i suoi gol proprio con i colpi di testa, in un periodo storico in cui si giocava a calcio con palloni di cuoio che risultavano più pesanti con la pioggia.
Un’abilità che avrebbe provocato piccoli e regolari traumi cranici al cervello, poi degenerati nella demenza.
Questa decisione ha suscitato le reazioni del mondo dello sport ma anche del mondo medico che di fronte a questa scelta cercano di prendere le dovute contromisure, trovandosi sostanzialmente d’accordo se lo studio dovesse rivelarsi corretto, e quindi abbandonare questo fondamentale di gioco in tenera età.
Così il Giornale di Sicilia riporta il pensiero di chi vive a contatto con i bambini e vede quotidianamente dei cambiamenti nel modo di approcciarsi al mondo dello sport e del calcio, Giacomo Tedesco, ex calciatore, oggi istruttore di scuola calcio:
“Affinché tutto ciò diventi concreto serve che tra i bambini venga utilizzato il pallone a controllo ridotto, oltre a cambiare regolamento in merito alla battuta delle rimesse laterali non più con le mani ma con i piedi ,questo faciliterebbe la tecnica individuale.
Di contro, però, verrebbe a mancare una parte motoria. Già la coordinazione dei bambini non è più quella di una volta, non sanno più coordinare braccia e gambe, si vede in campo perché diventano pezzi di legno e questo è dovuto anche all’assenza di attività motoria a scuola. Mettersi contro la scienza, però, non è la soluzione migliore, bisogna capire veramente se nel lungo termine può creare un danno al bambino“.
Totalmente d’accordo si mostra Ignazio Arcoleo: “È una scoperta nuova e ne prendiamo atto con le esigenze della medicina. Non ho mai privilegiato il lavoro sui colpi di testa, secondo me non ha senso perché si incentivano i bambini a farsi male. Ho sempre favorito
l’aspetto tecnico. Sono d’accordo, la scienza va avanti ed è giusto prendere determinate scelte“.
A parlare di questa svolta è anche il primario di Neurologia del San Raffaele di Cefalù, Luigi Grimaldi:
“Dagli studi effettuati è emerso che i giocatori scozzesi che hanno oltre 60 anni hanno un rischio oltre 3 volte superiore rispetto alle altre persone, di ammalarsi di Parkinson, Alzheimer e altre malattie neurodegenerative.
Questo accade perché un trauma ripetuto crea una disgregazione del tessuto cerebrale. Si provoca una perdita di tessuto e cioè il cervello diventa come un formaggio coi buchi. Così si anticipa l’invecchiamento cerebrale. Per intenderci un po’ come il pugile Cassius Clay la cui salute è stata compromessa dai colpi subiti alla testa, soprattutto perché lui negli incontri di boxe teneva la guardia bassa.
Certo gli studi potrebbero in qualche modo avere un limite perché sono stati effettuati su calciatori in età avanzata che hanno giocato tempo fa con palloni di cuoio molto duri. Adesso i palloni sono diversi… Ma comunque vista la potenza con cui vengono calciano, restano comunque gli elevati rischi, come mostrano le evidenze medico-scientifiche”.
La svolta è arrivata in Scozia, chissà se gli altri paesi europei seguiranno a ruota o riterranno opportuno continuare per la loro strada e fare ulteriori ricerche in merito a questa scoperta scientifica.
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