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Coronavirus, una fotografia del mondo: ecco come si comportano gli altri paesi

Il mondo davanti all’emergenza causata dal nuovo Coronavirus sta reagendo in maniera totalmente disomogenea rispetto a quanto ci si aspetterebbe in una situazione di tale gravità.

Tale disomogeneità sta consentendo al virus di proseguire la sua infezione in tutto il mondo, rendendo sempre più difficile la limitazione del contagio in un mondo oramai globalizzato e in cui ogni distanza è ridotta al minimo.

L’Italia è stato il primo paese ad adottare misure propedeutiche alla limitazione del contagio del virus, pur gradualmente. Sebbene inizialmente la percezione sociale legata al Covid-19 fosse quella di un’influenza non troppo grave su cui si stava facendo più allarmismo che altro, con l’andare del tempo ci si è resi conto che il virus era in grado di contagiare molte più persone rispetto all’influenza comune, rischiando di ritrovarsi con un sistema sanitario totalmente in ginocchio nel giro di poche settimane, qualora non si fossero prese le misure adeguate.

Se l’Italia, anche per cause contingentali, è stato il primo paese in Europa a rendersi conto che erano necessarie misure drastiche per rallentare il contagio, diversamente hanno fatto gli altri paesi europei, e non solo. In Francia le prime misure restrittive arrivano con estremo ritardo rispetto all’immediatezza d’azione richiesta dalla situazione: valide dal 17 marzo scorso, le misure adottate dal Governo Macron prevedono il divieto di ogni genere di spostamento, a meno che non si abbiano comprovati motivi lavorativi, di salute o assistenza. Lo stesso decreto francese autorizza l’autorità sportiva all’aperto, purché si resti nelle vicinanze della propria abitazione e si mantenga la distanza di almeno un metro dagli altri. Contestualmente sono state chiuse le scuole, bar, negozi e ristoranti.

La situazione europea che ha scatenato più scalpore di tutte è stata quella britannica: inizialmente il Premier Boris Johnson aveva puntato su una tattica machiavellica, con un fine (l’immunità di gregge) che avrebbe dovuto giustificare i mezzi utilizzati dal Governo di Downing Street (la totale noncuranza sul numero dei contagiati e soprattutto dei decessi). In tal senso all’inizio il leader dei Conservatori aveva blandamente invitato tutti i propri cittadini a lavarsi spesso le mani, e aveva raccomandato agli anziani di non uscire di casa. Una tattica che per fortuna dei britannici e del mondo intero è stata totalmente capovolta nel giro di pochi giorni: una volta che il Primo Ministro inglese è stato sottoposto a numerose pressioni provenienti da autorevoli personalità accademiche, non per ultimo l’epidemiologo Neil Ferguson, sono stati adottati il 20 marzo dei provvedimenti molto più forti sia in termini di restrizioni sociali, sia di interventi economici per il sostegno a imprese e lavoratori: “Questa volta non penseremo alle banche, ma ai lavoratori”, garantisce Johnson a margine della conferenza sulle misure adottate contro il Covid-19. Delle misure, in effetti, sono state prese: oltre alla chiusura di bar, ristoranti, pub, cinema, teatri e palestre, il Primo Ministro ha annunciato che il Governo si prenderà carico dell’80% dei salari dei lavoratori, cercando di alleggerire il peso sulle aziende. Contestualmente è stato mobilitato l’esercito britannico ed è stata istituita una vera e propria “war room” coordinata da Chris Tyas, ex Manager della Nestlè.

La situazione più tragica al momento la sta vivendo la Spagna, dove è accaduto ciò che si tema possa accadere in qualsiasi altra parte del mondo: il principale focolaio del nuovo Coronavirus in Spagna ha come epicentro la capitale, Madrid, città che registra ogni anno milioni di turisti e abitanti. Secondo quanto riporta “Il Sole 24 Ore” si stima che in Spagna muoia a causa del virus una persona ogni 16 minuti. I dati e le proiezioni riguardanti il territorio spagnolo sono davvero poco incoraggianti, e anche in questo caso il governo spagnolo è intervenuto in ritardo rispetto a quando sarebbe stato opportuno farlo: il 16 marzo sono stati reintrodotti i controlli alla frontiera, con la possibilità di rientrare nella penisola iberica per i soli cittadini spagnoli o per chi ha la residenza spagnola, con la contestuale chiusura di bar, ristoranti, negozi e lo schieramento dell’esercito su sette città spagnole: tra queste vi sono Valencia, Saragozza, Madrid e Siviglia.

Parecchio differente è stata, invece, l’approccio del problema in Germania. In terra tedesca ciò che ha fatto la differenza sono stati due fattori del tutto unici rispetto al resto dell’Europa: il primo tra questi è il basso numero di morti rispetto ai contagi, il secondo è la composizione federale del governo. Il basso numero di decessi a causa di Covid-19 ha portato la Germania a non adottare, a differenza di altri paesi, misure stringenti in fretta e furia, permettendo al Governo di Angela Merkel di osservare l’evolversi della situazione senza dover far conto con la pressante emergenza sanitaria, che invece si stava verificando in altri paesi del suolo europeo. Ciononostante la leader del partito democristiano tedesco aveva espressamente annunciato l’11 marzo che la situazione era molto più grave di quel che poteva apparire in quel preciso momento, e che andavano prese misure adeguate se non si voleva incorrere in un contagio che avrebbe coinvolto “il 70% della popolazione tedesca”. A queste parole d’allarme, però, ogni singola federazione componente lo Stato tedesco ha risposto in maniera differente, adottando dall’una o dall’altra parte misure più o meno rigorose. Un cambio di marcia a questa politica è avvenuto ieri, con la convocazione da parte di Angela Merkel di tutti i governatori, in seguito al quale è stato annunciato che “non si tratta più di raccomandazioni, ma di regole”: divieto di assembramento con più di due persone, distanziamento sociale negli spazi pubblici di almeno 1,5mt l’uno dall’altro, la totale chiusura di bar, ristoranti e pub, e gli spostamenti sono autorizzati solo per recarsi al lavoro o praticare sport all’aperto.

Se il federalismo tedesco ha causato una prima disomogeneità interna nell’ordine degli interventi contro il nuovo Coronavirus, lo stesso può dirsi per gli Stati Uniti d’America, sebbene con un registro molto più amplificato vista l’ampia portata numerica della popolazione statunitense. Ad oggi risultano essere circa 25.000 i contagiati americani, sebbene potrebbero essere molti di più, considerato che in America la sanità è interamente privata, e il costo di un tampone si aggira mediamente attorno ai 3500$, cifra che naturalmente non tutti possono permettersi di affrontare. I singoli Stati americani stanno affrontando la questione in maniera differente, tra chi vieta assembramenti e chiude bar e ristoranti, e chi invece consiglia in maniera ben poco convinta semplicemente agli anziani di restare a casa. Il Presidente Trump in questo caso sta pagando una situazione figlia della grande disuguaglianza economica degli Stati Uniti, paese in cui se non hai l’assicurazione sanitaria non puoi permetterti d’ammalarti, nemmeno di una semplice influenza, figuriamoci del Covid-19.

Fino a questo momento ogni sistema politico si sta mostrando incapace di coordinarsi a livello internazionale per gestire un’emergenza che non riguarda la singola Italia, non riguarda la singola Europa, ma riguarda tutti i continenti e tutte le popolazioni mondiali. Un altro campanello d’allarme che deve far riflettere e che dovrebbe rendere i leader mondiali molto più coscienziosi del problema di quanto già non lo siano, è il numero crescente di casi in Africa di Covid-19, sestuplicato negli ultimi giorni secondo i dati dell’OMS.

Un dramma destinato a non fermarsi se non ci sblocca dall’incapacità politica ed economica di coordinarsi fra i popoli, al contrario di quanto fatto fino a questo momento da quasi tutti i leader mondiali.