La storia di un grande campione che non ha smesso di lottare, sul campo così come nella vita. Che ha saputo affrontare con combattività un evento così drammatico. E lo racconta in un’intervista a Repubblica, con il sorriso straziante di chi sa come uscire dal buio per riguardare il sole. Di chi forse ha avuto paura, ma ha saputo conviverci.
Chi forse meglio di Gianluca Vialli può rassicurarci in un momento così difficile e tremendo? Anche lui vorrebbe essere al fianco dell’Italia a combattere questa battaglia insieme, come ai tempi in cui per combattere bastava calciare un pallone, solo che non era semplice farlo bene come lo faceva lui. E le immagini che scorrono in un televisore sono un gran sollievo per tutti.
E’ così che la domanda come stai risuona insistente. “È vero, non è più soltanto un convenevole– dice Gianluca Vialli-. Abbiamo bisogno di sapere se le persone stanno ancora bene. A dicembre ho concluso diciassette mesi di chemioterapia, un ciclo di otto mesi e un altro di nove. È stata dura, anche per uno tosto come me. Dura, dal punto di vista fisico e mentale. Gli esami non hanno evidenziato segni di malattia. Sono felice, anche se lo dico sottovoce“.
E forse dovremmo ricrederci sul vero significato di felicità, ecco cosa significa per Vialli oggi: «Significa vedersi di nuovo bene allo specchio, guardare i peli che ricrescono, non doversi più disegnare le sopracciglia con la matita. In questo momento, può sembrare strano ma mi sento quasi fortunato rispetto a tanta gente».
E sull’estrema sofferenza vissuta dagli italiani in questo momento Vialli commenta: «Provo un senso di colpa per non essere lì, anche se le mie condizioni non lo avrebbero permesso. Penso alle persone portate in ospedale e morte sole, ai loro parenti costretti a casa, ai funerali non celebrati: è terribile. Una prova estrema, uno strazio. E resteranno enormi cicatrici affettive, morali ed economiche. La vita di ognuno cambierà e per tantissima gente è già cambiata, purtroppo».
Adesso una domanda davvero difficile, forse quella a cui nessuno ancora trova le risposte; come si combatte la paura di morire? “Pensando ai desideri, concentrandosi su quanto ci piace davvero, e su quanto vogliamo che ogni cosa ritorni. Non bisogna sentirsi egoisti e non si deve permettere al cervello di andare da un’altra parte».
A volte qualcuno vive la malattia come un’ingiustizia, eppure per Vialli non è stato così:”Nel mio caso è un viaggio. Un percorso di introspezione, un’opportunità. La malattia è un’esperienza di cui avrei fatto volentieri a meno, però è successo e allora cerco di metterla a frutto”.
Cosa significa rinunciare allo sport in un momento come questo? “Lo capiremo quando tutto tornerà. E quando la bellezza dello sport e del calcio, le emozioni e i ricordi ci aiuteranno a tornare a vivere, vivere pienamente. Sarà un esercizio di piacere e bellezza: sarà stupendo. E dovremo dare più spazio alla solidarietà: non recinti più alti, ma tavoli più lunghi. Le società di calcio dovranno essere anche piattaforme di sviluppo sociale, un luogo condiviso dal quale ripartire“.
Forse si è dato troppo per scontato la frase “la salute viene prima di tutto” ed ora si capisce il suo reale significato: “Vorrei che la famosa frase “quello che conta è la salute” diventasse davvero centrale. Vorrei che non accettassimo più nessun taglio alla sanità pubblica. Vorrei che non crollassero più i ponti, e che la sicurezza delle persone diventasse prioritaria. Vorrei che ci ribellassimo a queste città piene di smog che uccide: e qualcuno aveva addirittura preso in giro quella magnifica ragazzina, Greta».
Così come si è imparato solo adesso ad apprezzare medici ed infermieri: “Sono i mestieri della vera empatia. Persone che entrano nella testa di chi soffre, persone generose, disponibili, dotate di incredibile forza fisica e psichica. Non dimentichiamolo, quando tutto sarà finito».
Gran parte dell’intervista passa a ricordare i momenti del passato, fino a quando si tocca un tasto dolente, la mancanza d’unità d’intenti nel calcio italiano:
“Si dovrebbero dimenticare gli interessi di parte e gli egoismi, anche se capisco i presidenti alle prese con una crisi mai vista. Qualcuno per forza di cose ci rimetterà. Un errore da non commettere è la fretta. Si abbia fiducia nelle competenze di quelli che se ne intendono e ci dicono cosa fare: preghiamo che lo sappiano davvero. E si torni in campo solo quando i medici e gli esperti diranno che è possibile, anche se sono io il primo a desiderarlo. Ma nel frattempo occorre un atto di responsabilità generale, al di là dell’emergenza dell’intero sistema”.
Fa effetto leggere di stipendi tagliati ai calciatori.
«Il sacrificio dovrà essere sostenuto da tutti, non solo dagli atleti. Mi sembra interessante quello che accade qui in Inghilterra, dov’è stato creato un fondo di solidarietà alimentato da una quota dei guadagni dei giocatori: i fondi li distribuiscono loro, direttamente alla sanità pubblica».
L’intervista prosegue parlando del rinvio degli Europei tra opportunità e dispiaceri per giocatori che in questo periodo erano esplosi e il rapporto speciale con il Mr Mancini e poi non a caso l’intervista termina con l’augurio che il tutto ricomincio proprio con una partita in particolare: azzurri contro medici ed infermieri.
“Quel giorno sarà un grande giorno».
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