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Ma il virus sa distinguere gare di Serie A da gare di Serie D?

Il tema è quello dei protocolli di sicurezza da applicare allo sport in generale ed al calcio in particolare.
In discussione in questi giorni se e come far ripartire il calcio, soprattutto quello della massima serie che, a cascata, aiuta anche quello delle serie inferiori.
Della serie, se non riparte la Serie A, scordiamoci che possano farlo le altre.
Ed a proposito di protocolli di sicurezza, visto che si aspetta di capire se saranno gli stessi anche per i dilettanti, una domanda viene spontanea anche in considerazione della parole del presidente di Lega D, Sibilia (“Dobbiamo cercare di far dare l’ultima parola al rettangolo di gioco ma se il protocollo è quello di Serie A, noi non abbiamo le loro capacità”): ma il virus sa distinguere se si sta giocando una gara di serie A o di serie D? Il virus ha cioè questa capacità intellettiva di discernere se trattasi di professionisti ben pagati o dilettanti da pezzo di pane quotidiano?
Perchè se si aspetta di capire se i protocolli saranno gli stessi, evidentemente si pensa che possano essere diversi, cioè meno gravosi e meno impegnativi per i club dilettantistici e quindi, forse, anche meno sicuri.
Perchè se la massima serie sta perdendo settimane per trovare la migliore soluzione possibile in termini di sicurezza, evidentemente altre non ce ne sono. O meglio, si, ci potrebbero essere, però a danno della salute dei giocatori.
In serie D ci sono forse meno contatti, meno scontri? Si gioca a distanza senza tackle?
Avere protocolli meno restrittivi è direttamente proporzionale al rischio di contagio, perchè se si potessero snellire anche la serie A lo farebbe. O no? O preferiscono sperperare soldi e tempo in ritiri lunghi e isolati dal mondo?
Insomma se la logica è ancora un criterio vigente, per la lega D si prospetta la fine dei campionati, come ha sempre sostenuto questa testata.
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