Fabio Caserta, tecnico della Juve Stabia, con un trascorso al Palermo, ha vissuto con sofferenza questo lockdown ormai abituato al campo e a conquistare step by step la salvezza per la sua Juve Stabia.
Il covid-19 ha fermato tutto, eppure Fabio Caserta sa come affrontare il dolore lui che lo ha vissuto sulla propria pelle, appena ragazzino. Già a otto anni stava morendo in un incidente stradale, poi ha perso il papà in una fase delicata della sua carriera, appena passato al Palermo nel 2007 come ricorda la Gazzetta dello Sport nell’intervista, e la scomparsa del fratello Raffaele nel 2013 in uno scontro d’auto:
“Il dolore sicuramente rende più forti, ma è sempre una sofferenza.Poi per fortuna torna puntuale la luce. Da bambino dopo l’incidente sull’apercar con mio nonno mi davano per morto. A mia mamma dissero che non ce l’avrei fatta. Da lì in poi un peregrinare tra medici e centri di riabilitazione. Le perdite dei cari lasciano cicatrici…”
Proprio per questo la quarantena è stata un’occasione:
“Questa situazione coinvolge il pianeta, non il calcio italiano. Ci siamo logorati senza arrivare a una soluzione, mentre ogni giorno morivano centinaia di persone. Quei numeri della sera erano famiglie distrutte dal dolore. Questo virus mi ha dato la possibilità di rinsaldare i rapporti con chi amo. Cerco sempre il lato positivo, perché i momenti negativi non sono mancati nella mia vita“.
Passando al calcio, Caserta parla anche dei campioni più forti che ha incrociato:
“Da avversario Kakà. Come compagno Miccoli: fantasia al potere. Ricordo che il magazziniere lanciava le arance in aria e lui le colpiva con il pallone. Poi le posizionava sull’incrocio dei pali e le spazzava via come voleva, anche con la rabona“.
Sul futuro del calcio: “Mi preoccupa. Saranno premiate le società, sempre meno che potranno garantire investimenti importanti. Le piccole soffriranno di più, con rischi incalcolabili“.
Augurio? “L’augurio è un ritorno alla normalità. La davamo per scontata, ora la sogniamo“.
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