Per quale motivo, dopo due mesi di questa tragedia, dovremmo essere persone migliori? Forse non bastano neanche anni
Diverse foto dei Navigli di Milano, che circolano in questi primi giorni di riapertura post lockdown, ci ha riportato alla memoria un articolo, interessantissimo, di una grande giornalista di Repubblica, Natalia Aspesi .
Ve ne riportiamo solo qualche passaggio invitando chi vuol leggere l’intero articolo a cliccare qui
“Subito, la mattina del 4, le mie amiche anche non giovanissime, tutte festose fuori di casa, in bicicletta, a piedi, le più guardinghe in taxi, adesso con vetro divisorio. Per andare dove? Niente, per girare, veder gente, appunto uscire dall’ormai antipatica casa più o meno infestata dagli amati congiunti, che solo a sentirli chiamare così sono diventati antipatici.
Io dubbiosa, mi ero ripromessa di dare un’occhiata fuori, con guanti mascherina e bastone minaccioso, ieri mattina, con una meta paradisiaca, quella Wunderkammer che è la mia salumeria, giusto per la vista, dato che in due mesi sono aumentata di due taglie, e per vestirmi ho dovuto ricuperare cose vecchie, di quando ero grassoccia e felice.
Quindi mi richiedo, perché uscire? Perché ritrovarmi in strada con il solito ragazzo che mi urta e mi insulta, e la folla che intasa le vie dello shopping più dei giardini, anche se con le saracinesche ancora abbassate?
Vilmente aspetto, forse uscirò domani, forse dopodomani, forse chissà quando: non ho paura del virus, anche se siamo tutti in continuo allarme perché se di nuovo esplode sarà peggio di quel che raccontava Pepys nel suo diario sulla secentesca peste di Londra. Ho paura di noi, degli altri ma anche di me. Abbiamo lasciato un tempo fa che pare infinito, una vita cui adesso si dovrebbe tornare, ma che già non ci piaceva più, tutti a lamentarsi ingrugniti, già a distanza per rimarcare una antipatia, una differenza, una separazione, una reciproca superiorità, una opposta appartenenza a qualsiasi cosa: e se vicini solo per uno sgambetto o un pugno alzato.
Per quale ragione dopo questi due mesi di tragedia, la vita imprigionata, il futuro che centinaia di futurologi promettono spaventoso, dovremmo essere cambiati, diversi, nuovi, generosi, pazienti, altruisti, sereni, democratici, educati, informati, affidabili, fiduciosi, onesti, prudenti, sinceri, ottimisti, frugali, protettivi, responsabili, coscienziosi, consapevoli, addirittura fratelli, quindi non più infelici? Non bastano due mesi, ma forse neppure anni, anche se questa esperienza crudele ha coinvolto non solo la nostra Italia, ma tutto il pianeta, rivelando al nostro egoismo di provincia che non ci siamo solo noi o addirittura solo la Lombardia, ma siamo una piccola insignificante porzione di tutto l’immenso mondo, siamo un solo mondo, senza scampo, nel bene ma soprattutto nel male. Io mi sento prigioniera non perché sono stata chiusa in casa, ma perché il mondo con tutti i suoi mastodontici disumani errori contro se stesso si è imprigionato da sé. Mi ha imprigionato: ma anche se mi grazia e mi libera, che libertà, che grazia, non a me ma agli altri, assicura?”
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