Ci si scervella, in questi giorni, su quale può essere la causa, il motivo, la ragione di questo assenteismo di cui il Barbera è vittima ormai da tante stagioni. Ma davvero crediamo che tutto dipenda da un cambio di proprietà? O, invece, vogliamo convincerci di questo?
Alla misteriosa, e sempre più imbarazzante cessione, c’è chi ci crede e chi no, non è questo il dato rilevante.
Questa scissione stadio-pubblico ha origini più lontane, forse più profonde. Purtroppo.
Accade così, lasciatemi passare l’esempio, per alcuni matrimoni. Il partner tradito perde fiducia e se i tradimenti continuano, si arriva alla separazione.
Partiamo da un semplice assioma: Il calcio è cambiato. Banalità? Si, banalità. Ma una di quelle banalità che portano con sé una profonda e triste verità. Ti accorgi che il calcio è cambiato quando aprendo la Gazzetta dello Sport, in prima pagina trovi una foto a grandi dimensioni e un altrettanto voluminoso titolo dedicato a Wanda Nara. Inutile continuare. No?
E’ cambiato, di conseguenza, quel connubio, rapporto, tifosi-giocatori. Volgendo lo sguardo a Palermo, la gente ha difficoltà persino a ricordare o pronunciare certi nomi. I volti sono praticamente sconosciuti. Tutto questo è la conseguenza di una realtà che si sta trasformando, portando con sé le peggiori conseguenze di questa metamorfosi. L’inizio della fine. Trattiamo i giocatori come se fossero delle celebrità, non facendo altro, noi stessi, che alimentare questo mutamento. Un tempo in una qualsiasi pizzeria della città incontravi Toni, Corini, Berti, Foschi, Sicignano, Mutarelli e chi più ne ha più ne metta, e li vedevi dialogare e scherzare con i tifosi. La passione era il filo conduttore che legava tutto. Le formalità non esistevano, erano messe da parte. Prima. Adesso se becchi Szyminski in aeroporto devi aspettare qualche secondo per accettarti che sia lui. La conclusione finale la prendi da solo, forse a malincuore, forse facendotene velocemente una ragione.
Il tifosi palermitano arriva così a sentirsi avulso da un progetto, da una realtà, che estranea non può essere. Per ragion d’essere.
Si parla spesso del famoso ”senso di appartenenza”. Guai a chi lo tocca. Ma, forse, è proprio quello che è scemato. Se si vuol trovare sempre un alibi, se lo scetticismo ha preso il sopravvento sulle linee ideologiche, allora forse conviene pensare che la partita è più confortevole guardarla nel proprio divano. O non guardarla nemmeno. Però che si taccia, per favore. Perché ora una cosa voglio dirla: alcune piazze, anche importanti, non se la passano tanto meglio. Anzi. Eppure le differenze sono troppo ben visibili per far finta di nulla.
E’ semplice ripetere che le motivazioni siano le stesse: Zamparini. Maurizio. MZ. ZM . Scegliete voi la migliore formula.
Ma quando dopo la famosa finale di Coppa Italia a Roma, c’erano 1600 persone contro il Ravenna ad agosto? In quel caso di tutto si poteva parlare, tranne che di una cattiva gestione societaria. E come ve la spiegate questa cosa?
Proust scriveva, tra il 1909 e il 1922 il capolavoro letterario che da li a poco tempo lo avrebbe fatto entrare nelle file dei ”giganti” della letteratura: Alla Ricerca del tempo perduto. Tra i moltissimi temi trattati, spicca il ritrovamento del tempo perduto, del ricordo, della rievocazione malinconica del passato perduto.
Fatemi passare questo forzato parallelismo. Bisogna ritrovare quell’atmosfera, quell’adrenalina perduta. E, sinceramente, purtroppo, non credo che il capro espiatorio sia soltanto uno.
Sono d’accordo. Anche se si rimane legati alla maglia, non ai giocatori