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Brancato racconta l’esodo: il rosanero nel cuore, l’Ucraina nella pellicola

Dalla passione per la maglia rosanero a quella per la fotografia e i film. Chissà se Brancato, nel guardare il suo Palermo, non immaginasse già di poterlo raccontare attraverso una telecamera. Anche perché, il suo Palermo, quello per cui si emozionava, era il grande Palermo. Quello dell’era Zamparini, che aveva fatto innamorare tanti bambini, com’era Brancato all’epoca. Oggi il giovane regista è tornato dal confine con l’Ucraina e le sue emozioni, purtroppo, non sono state per il rosanero ma per le tante storie viste e da raccontare. Dalle lacrime per un gol di Luca Toni a quelle per la straziante situazione del popolo ucraino. L’identità visiva va oltre il confine di ogni immaginazione. Bisogna vederle dal vivo, purtroppo, determinate cose, per poterle raccontare. La guerra è sicuramente un esempio.

Tre giovani palermitani in Ucraina, Guglielmo Brancato, Vincenzo Lo Iacono, Gabriele Campanella insieme a Nicola Pergolini, hanno deciso di avvicinarsi non solo attraverso il racconto, ma anche fisicamente, al conflitto che da ormai diverse settimane ha colpito l’Ucraina. A partire sono stati 3 dei 7 fondatori di Marte Studios, società di distribuzione e produzione cinematografica. Hanno deciso di registrare delle testimonianze dal confine tra la Polonia e l’Ucraina oltre ad organizzare una raccolta fondi per aiutare le famiglie ucraine in difficoltà.

Diario di bordo: la testimonianza diretta del giovane regista palermitano Guglielmo Brancato

“La guerra in Ucraina non è un film. Esiste per davvero. Come ogni guerra, porta con sé devastazione, sofferenza e disagio. Il primo giorno in cui Vladmir Putin, presidente della federazione russa dal 2000, ha invaso l’ Ucraina, rappresentata da Aleksandr Zelensky, decine di migliaia di cittadini gialloblù hanno preso d’assalto la stazione di Kiev, L’viev (meglio conosciuta in occidente come Leopoli), Mariupol, Kharkiv e Odessa. La destinazioni iniziale era unica: la frontiera di Medyka. Medyka è una piccolissima cittadina polacca posta lungo il confine con l’Ucraina. Conta circa 5.000 abitanti. La frontiera di Medyka è un’ autostrada a 4 corsie che si interrompe al confine con sbarre, poliziotti e postazioni di controllo. È possibile attraversarla a piedi o in auto. Superata la frontiera di Medyka, si va subito a Przemysl, nella speranza di prendere un treno che porti da qualche parte in un paese libero e accogliente. Le destinazioni più popolari sono Varsavia, Cracovia, Berlino, Amsterdam, Londra e Parigi. Nei giorni a seguire, i cittadini Ucraini hanno iniziato a lasciare il proprio paese dirigendosi direttamente anche in Moldavia, Slovacchia e Ungheria. Se i primi due paesi si sono mostrati d’accordo nell’accoglierli, l’Ungheria ha inizialmente mostrato un atteggiamento tendenzialmente di chiusura. Inoltre, in Ungheria e Slovacchia hanno cercato di evitare documentazione fotografica. I giorni seguenti, da decine di migliaia si è passati a centinaia, fino a toccare il milione.

Un uomo di Kharkiv ha affermato di aver pagato un uomo che accettava soldi in cambio di fermare il treno in una posizione precedente alla stazione di Kharkiv. In questo modo, quest’uomo, con i suoi figli, hanno potuto evitare l’infinita calca di persone che si trova adesso alle stazioni treno.

Ora, conclusa la descrizione asettica e giornalistica, passiamo alla parte emotiva.

I profughi che partono dalle varie città Ucraine partono di fretta e furia, stracolmi di valigie. Madre, padre e figli. Salgono su uno dei centinaia di pullman che fa avanti e indietro e raggiungono la frontiera. Lì, o proseguono in pullman, oppure scendono alla frontiera per proseguire a piedi, coscienti di dover sopportare una temperatura media notturna di -10°, un livello di umidità mattutino talmente alto da fare bruciare le mani (testimone il sottoscritto) e temperature all’ombra di giorno di circa 5°. I padri sopra i 60 anni di provenienza Ucraina sono costretti ad abbandonare le famiglie. Mi scende una lacrima, adesso che lo scrivo. Si abbracciano forte. I padri prendono in braccio i figli. Li guardano negli occhi. Baciano la moglie. Sussurrano qualcosa all’orecchio. Si voltano e vanno via. Essendo le frontiere stracolme di persone, i tempi per attraversarle vanno dalle 3 alle 24 ore. Molte famiglie sono costrette a trascorrere la notte in fila, in attesa di poter lasciare il paese. Superata la frontiera, a Medyka li aspetta una grande schiera di volontari, associazioni e organizzazioni provenienti da tutto il mondo. Sempre presenti sono i militari polacchi, che aiutano le donne a spostare valigie, portare bambini, trascinare sedie a rotelle. Tutti loro distribuiscono coperte, cibo, bevande, pannolini, assorbenti, peluches, powerbank, schede SIM polacche, scorte di cioccolata per i bambini, spazzolini, dentifrici, giacche. I profughi più stanchi possono dormire nei capannoni riscaldati, dotati di brandine di fortuna. I centri di rifugio a Medyka sono circa

Il più grande è situato di fronte il centro di Castorama. Immaginate un grande centro commerciale che improvvisamente viene totalmente svuotato e riempito di brandine, stand e reparti. Le associazioni di occupano di fare firmare ai volontari le dichiarazioni di responsabilità per affidamento dei minori, o di madri. La maggior parte dei volontari arriva con piccoli camion, pullman o carovane di automobili. Nel minor tempo possibile, i profughi trovano il primo passaggio e lasciano il campo. La Polonia ha deciso di elargire una cittadinanza provvisoria agli Ucraini di un anno e mezzo. Provvede a distribuire biglietti gratuiti per spostamenti ferroviari. Moltissimi profughi oggi dormono e si riposano in case di famiglie polacche. Nina è una ragazza di 24 anni che ha deciso di ospitare una famiglia di 7 persone. Una volta arrivati a destinazione, si offrono lavori manuali e tecnici, in base al proprio curriculum.

Voglio lasciarvi con la descrizione di una scena che si sta manifestando adesso, mentre trovo finalmente il tempo di scrivere.

Un bambino sorride mentre guarda la terra polacca allontanarsi dai suoi piedini, a bordo del volo che lo porterà a Milano, e poi lancia un’occhiata al fratellino, che sta innocentemente bevendo uno di quei succhi di frutta donati ai campi profughi. La madre dorme stremata”.

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